Il piccolo territorio del sud della penisola iberica è amministrato da Londra ma, diversamente da quanto accade in Inghilterra, Scozia e Galles, finora l’interruzione di gravidanza è stata considerata un crimine, punibile anche con l’ergastolo. Per quanto inapplicata, la legge era ancora lì, pronta ad essere impugnata come una clava contro i diritti delle donne.

Per sfuggire ad una delle legislazioni più restrittive del continente – l’Ivg era prevista solo in caso di pericolo di vita per la madre e previa autorizzazione di un medico e del Procuratore Capo – le donne che dovevano abortire erano obbligate a recarsi in qualche clinica privata in Spagna o nel Regno Unito.

NEL REFERENDUM POPOLARE celebrato giovedì nella piccola enclave, però, hanno prevalso i fautori della depenalizzazione: il testo approvato estende la possibilità di abortire, entro la dodicesima settimana, ai casi in cui la prosecuzione della gravidanza comporti un elevato rischio per la salute fisica o mentale della gestante. Maggiore elasticità è prevista in caso di pericolo di vita o in presenza di gravi malformazioni nel feto.

I SOSTENITORI DEL «NO» hanno stroncato il quesito come «estremista», ma manca ancora molta strada da fare anche solo per eguagliare gli standard europei. La nuova formulazione non contempla infatti né la libertà di scelta delle donne né motivazioni di tipo socioeconomico, e riconosce ai medici la possibilità di esercitare «l’obiezione di coscienza». Più che di una legalizzazione si tratta di una depenalizzazione dell’aborto, ammettono le portavoce del movimento pro-choice che hanno basato la campagna sullo slogan «Home. Safe. Legal»: senza espatriare, in maniera sicura e legale. Si tratta comunque di un passo in avanti importante e affatto scontato in un territorio fortemente tradizionalista. Non stupisce che, all’una di notte di venerdì, quando è stato annunciato il risultato dello spoglio, le organizzatrici abbiano reagito con un boato liberatorio.

A pesare sul risultato un tasso di partecipazione non esaltante, pari al 53% degli aventi diritto, 17 punti meno che in occasione delle ultime elezioni del 2019. Ma allora non c’era il Covid, che ha costretto a rimandare la consultazione di un anno e che nelle ultime settimane ha registrato una certa ripresa nonostante l’elevato numero di vaccinati.

L’AFFERMAZIONE DELLA proposta è stata comunque netta: a favore 7.656 voti – il 62% – mentre contro si sono espressi in 4.520, il 36,6%. A fare campagna per il ‘no’ sono state le influenti gerarchie cattoliche e i Democratici Sociali di Keith Azopardi, all’opposizione. Il totale dei votanti – 12.176 in tutto – chiarisce le piccolissime dimensioni della realtà chiamata a decidere.

Il significato politico della svolta, tuttavia, non può essere sottovalutato; il risultato di Gibilterra potrebbe rimbalzare ora in Irlanda del Nord, la cui legislazione altrettanto proibizionista in materia di aborto è stata bocciata dalla Corte Suprema di Londra che l’ha giudicata contraria alla Convenzione Europea dei Diritti Umani. Paradossalmente, fu lo strabiliante risultato del referendum celebrato nella Repubblica d’Irlanda nel 2018 a infondere coraggio al movimento femminista di Gibilterra, convincendolo a passare all’attacco.

IL CAPO DEL GOVERNO LOCALE Fabian Picardo – del Partito Socialista Laburista e sostenitore del ‘sì’ – ha spiegato che entro 28 giorni dal voto il Parlamento promulgherà la nuova legge (formulata e votata dalla stessa assemblea nel 2019), ed ha assicurato l’approvazione di «meccanismi di sostegno alle donne, affinché tutte coloro che si rivolgeranno alle Autorità Sanitarie di Gibilterra per interrompere la gravidanza ricevano il dovuto appoggio».