Quando Mitsuo Sato inizia a lavorare a Yama – Attack to Attack (proiezione speciale al Forum) ha degli obiettivi molto precisi: raccontare Sanya, il quartiere di Tokyo che il governo ha cancellato dalle mappe, chi lo abita sono sempre stati dei «fuoricasta», degli «intoccabili» e ancora oggi è un luogo che non esiste, che appartiene agli homeless, circondato dal silenzio e dall’aura di violenza, criminalità, desolazione. Sato invece vuole rendere i suoi abitanti protagonisti, sono per lo più lavoratori giornalieri, disoccupati, stranieri che per pochi soldi accettano qualsiasi impiego, un mercato del lavoro facilmente ricattabile su cui la mafia cerca di imporre il proprio controllo nel gioco di appalti e subappalti che fiorisce con il boom edilizio.

«Più che la yakuza o la polizia sono i lavoratori a cui voglio dare voce» dice il regista nelle prime sequenze del film. Ma inevitabilmente mostrare il loro quotidiano, e raccogliere le loro storie, significa entrare nel terreno della yakuza. Sato viene ucciso il 22 dicembre del 1985 e poco dopo anche il coregista, Kiyochi Yamaoka, è assassinato da un gruppo fascista di ultranazionalisti, braccio armato della yakuza – il film esce in Giappone nel 1985. L’omicidio di Sato scatena la rivolta nel quartiere e una lotta durissima tra i fascisti e i gruppi marxisti che respingono con successo l’assalto mafioso alla zona. A pagare però non sono mai gli yakuza ma sempre gli operai arrestati o picchiati dalla polizia, e costretti alla fame dagli imprenditori locali che seppure non mafiosi decidono di non dargli alcun lavoro perché li considerano comunisti socialmente pericolosi.

Vediamo così gli yakuza offrire lavoro, basta un biglietto e presentarsi in tal posto da tale persone, ascoltiamo i ricatti e le violenza, l’affanno negli uffici di collocamento improvvisati, e spesso clandestini, l’arroganza delle paghe basse e delle proposte che celano prostituzione o malaffare. Una donna racconta di quando arrivata al posto di lavoro le hanno subito chiesto di fare sesso in un locale a luci rosse. Le strade sono sempre affollate, la gente in movimento, bancarelle, artigiani del cuoio anche loro fuoricasta perché sporchi, uomini e donne alla ricerca della sopravvivenza, case rovinate. In modo diretto Yama – Attack to Attack affronta contraddizioni e ambiguità che attraversano il Giappone di quegli anni, il 1985, in piena espansione economica e con un processo accelerato di gentrificazione in cui si incontrano poteri forti e criminalità (miscela che conosciamo bene in Italia). E se gli yakuza vengono ignorati dalla polizia, quel proletariato è invece l’obiettivo principale di ogni attacco, istituzionale e mafioso. È dunque un sistema politico, economico che il film mette sotto accusa componendo al tempo stesso una diversa geografia della capitale del Sol Levante, non solo tecnologia, colletti bianchi, progresso ma una crepa sociale che però non si affronta, e che come già in passato si decide «semplicemente» di cancellare.

C’è tra le storie e le lotte di quei lavoratori, e dei gruppi di sinistra che li sostengono e fanno fronte comune agli assalti mafiosi sempre più duri – case bruciate, aggressioni, documentazione distrutta – uno strettissimo legame tra i luoghi in cui accadono, anch’essi appunto esclusi dalla topografia urbana. Sato e Yamaoka cercano con le loro immagini di costruire uno spazio diverso, di dare visibilità al conflitto contro la retorica della perfezione sociale svelando qualcosa di insopportabile che non doveva ma essere visto. Costruito sull’urgenza di un cinema che è un gesto di resistenza – a costo della vita – Yama- Attack to Attack illumina al tempo stesso in quella situazione specifica il meccanismo generale del capitalismo, i suoi obiettivi e i metodi utilizzati per conquistarli. Una lucidità che lo rende estremamente attuale.