Non c’erano libri per bambini a casa di Gianni Rodari né la madre, di sera, raccontava favole, lei che a sette anni era andata a lavorare in una cartiera e per tutta la vita aveva fatto a pugni con il tempo. Eppure non era un’infanzia anomala, la sua: quella penuria di libri, avventure e romanzi per sognare esistenze diverse attraversava molte stanze dell’Italia di allora, che lottava con l’analfabetismo e la scuola a singhiozzo. Così, alla fine, le favole le ha scritte lui stesso, lasciandole scaturire da azzardi linguistici, errori grammaticali, assonanze divertenti delle parole, ricordi autobiografici.

INTELLETTUALE ANOMALO, bizzarramente libero in un mondo disseminato di ideologie rigide, Gianni Rodari (Omegna 1920 – Roma 1980) ha coniugato con disinvoltura materialismo storico, approdi clamorosi dell’utopia, letteratura infantile e sociologia inventiva. Il tutto amalgamato da una disciplina sconosciuta e nuova, la Fantastica. Ed è a questa «musa» che rende omaggio fin dal titolo, Lezioni di Fantastica. Storia di Gianni Rodari, il poderoso libro di Vanessa Roghi (pubblicato da Laterza, pp. 281, euro 19), uscito nel bel mezzo del centenario che celebra uno degli autori più originali del Novecento, ingiustamente dimenticato (o ridotto a qualche filastrocca) e poco presente nei manuali e saggi letterari.

Il libro alterna il pensiero dell’autore in prima persona a testimonianze preziose, ricostruendo così, in una specie di mosaico, quel viaggio atipico percorso a briglie sciolte da uno scrittore inclassificabile.

Inseguendo sul suo stesso terreno il papà delle Avventure di Cipollino, quella saga epica dal basso che non disdegnava la rivincita di classe agìta da poverissime ed eroiche verdure, Roghi presenta in maniera avvincente una biografia prismatica, difficilmente relegabile dentro i confini di un «genere». Tanto più che il primo a rinnegare un’intenzione pedagogica insita nel suo lavoro era proprio Rodari. L’importante, diceva, era «stare dalla parte dei bambini», perché sono loro i veri pionieri dell’anticonformismo: osservarli e ascoltarli è la corretta postura mentale per spalancare le porte di universi inesplorati.

Per non chiamarsi fuori dal coro, si era posto all’ascolto anche di se stesso, quando si trovò prestissimo nella condizione di orfano. Suo padre, fornaio, morì di broncopolmonite quando lui aveva nove anni.

ELABORÒ IL LUTTO nell’arco di tutta la sua esistenza, popolando racconti e poesie con pane abbrustolito, storie di fornai e anche di mici. «L’ultima immagine che conservo di mio padre è quella di un uomo che tenta invano di scaldarsi la schiena contro il suo forno. È fradicio e trema. È uscito sotto il temporale per aiutare un gattino rimasto isolato tra le pozzanghere».

Maestro, giornalista appuntito all’Unità e poi Paese Sera, scrittore, militante (nel Pci) e grande affabulatore e comunicatore, amava la raffinatezza di Kafka quanto l’onomatopea linguistica sgangherata dei fumetti, mostrandosi allergico alle gerarchie nella cultura. Per questa sua fluidità quasi postmoderna, entrerà in collisione con il suo partito, replicando per esempio a un articolo di Nilde Jotti apparso su Rinascita dove si attaccava la rappresentazione fumettistica della realtà, che lui invece reputava non primitiva né affetta da americanismo, ma adeguatissima al mondo giovanile.

RODARI DAL 1950 dirigeva il settimanale per ragazzi Il Pioniere e ne sapeva una più del diavolo, di certo più dei dirigenti del Pci. Fu su quelle pagine che nacquero tutti i personaggi di una città abitata da ortaggi, frutta e vegetali vari permettendo la rivoluzione a Cipollino, anche sulla scorta di inchieste che, in qualità di giornalista, Rodari aveva condotto in giro per i mercati studiando i prezzi delle patate. Il suo metodo creativo per eccellenza era, infatti, quello del mescolamento surrealista, degli accostamenti imprevisti. Come quando osservava gli studenti accanirsi liberamente su Pinocchio, tagliando brani, ascoltandolo al registratore, miscelando le loro vite a quella del burattino, in allegria. Lontani dal tedio dell’analisi grammaticale.

Il rapporto di Gianni Rodari con la scuola – pur fondamentale – fu complesso e conflittuale, rileva Vanessa Roghi. Ha come paladino Leopardi che odiava l’educazione «inflitta» e tende sempre di più, col passare degli anni, a una sonora bocciatura dell’istituzione (il «riformatorio a ore»). Per lui, il peggior delitto che si può consumare fra i banchi è quel non riuscire a far amare la lettura, tormentando i libri e uccidendo la fantasia.