L’andatura dinoccolata e flemmatica, la sigaretta (rigorosamente spenta, un vezzo da ex fumatore…) penzolante fra le labbra e la passione – indicibile – per la musica. Aveva lavorato ancora nei mesi scorsi su alcuni brani del nuovo progetto musicale di Mina, la sua musa e amica, le cui vite artistiche si sono a lungo incrociate. Gianni Ferrio, 87 anni, si è spento ieri nella sua casa romana. Nato a Vicenza il 15 novembre 1924, è stato un direttore d’orchestra, arrangiatore, compositore e autore di 120 colonne sonore per film e di alcuni dei pezzi «storici» della musica leggera italiana come Piccolissima serenata (1958), incisa tra gli altri da Teddy Reno e Renato Carosone, Parole parole (1973) (successo internazionale di Mina e Alberto Lupo, inciso anche da Dalida e Alain Delon), Non gioco più (1974) sigla finale di Milleluci ancora affidata a Mina.

Uno stile unico di arrangiatore dal gusto internazionale; suo mentore in qualche modo Lelio Luttazzi che lo spinse verso la carriera artistica, lui che aveva in mente di diventare medico. Da puro direttore d’orchestra (ma lo spiega meglio lo stesso Ferrio nell’intervista che ripubblichiamo a fianco), negli anni 40 dagli anni 50 inizia a collaborare in veste di arrangiatore presso la Cgd – di proprietà del suo fondatore, Teddy Reno, curando il repertorio di una giovane Jula De Palma, Johnny Dorelli e dello stesso Reno. Dirige l’orchestra al Festival di Sanremo 1959 e ancora tre anni dopo, per poi tornarci solo nel 2007 con Johnny Dorelli per il quale arrangia i due volumi di Swing e scrive l’inedito, che porteranno sul palco dell’Ariston, Meglio così.

Al cinema Ferrio ha dedicato una lunga parte della sua vita professionale (anche due lavori con Ermanno Olmi, Ermanno Olmi I recuperanti e I fidanzati, nel 1962) da Tipi da spiaggia di Mattoli (1959) fino a Incontri proibiti (1998) di Sordi, riuscendo a trasferire il suo tratto elegante e lo stile che si rifaceva alla scuola americana di maestri come Nelson Riddle, anche a produzioni spesso al limite del kitsch, film di genere ma non sofisticati o troppo fuori dagli schemi.

Ha lavorato su commedie, western, horror e a qualche commedia «scollacciata» iniziando con i film di Totò, sottolineando con le sue composizioni piccoli spaccati – brillanti – del belpaese in pieno boom Totò, Fabrizi e i giovani d’oggi (1960) di Mattoli. Film dove la musica svolge un ruolo centrale e si caratterizza per il forte respiro melodico. Poi la lunga stagione dei western, una cavalcata da Un dollaro bucato (1965) di Giorgio Ferroni, a Gringo, getta il fucile! !967) di Joaquin Marchent. Poi inizia la fase dell’erotico sexy del «vedo non vedo» e delle interminabili docce Il vizio di famiglia (1975) di Mariano Laurenti, 1980) con una parentesi horror che ingloba – fra gli altri – La morte risale a ieri sera (1970) e Una farfalla con le ali insanguinate (1971) sempre di Tessari.

Lunga e proficua la sua collaborazione in Rai, show come Bambole, non c’è una lira (1977), Al Paradise (1984) con Milva, ma senza ombra di dubbio è con Mille luci (1974) che tocca il suo vertice, curando tutte le parti musicali di Mina e le orchestrazioni, raccontando un mondo musicale che si muove dall’Italia alla Francia, piuttosto che in America, in Asia e in Medio Oriente.