Gli smile, sempre, per sorridere, comunque, anche dopo i suoi meravigliosi ottant’anni, nell’ora più buia dell’ultimo Natale. Gianni Di Marzio rispondeva così: un volto sorridente, le braccia protese in un abbraccio virtuale, due cuori al posto degli occhi e un grande testone di Babbo Natale. Oggi Gianni se n’è andato, aveva 82 anni. Era un uomo speciale, per tutto un insieme di cose. E resterà il primo italiano ad aver messo gli occhi su Diego Armando Maradona. Forse poteva farlo chiunque, lo avrebbero fatto milioni di altre persone, però nessuno ebbe più lo stesso sguardo. C’è un bellissimo film argentino, El secreto de sus ojos, che sfiora solo di striscio il calcio  (Racing Avellaneda, non il Boca di Diego) e racconta tutta un’altra storia, ma spiega in modo esemplare gli occhi di Gianni per Diego. Nel calcio, «un amore così non si è più visto». Di Marzio, probabilmente, fu l’unico al mondo che riuscì a comprendere l’eterna grandezza della Mano di dio.

PERCHE’, atterrato in Argentina su incarico del Napoli, capì al volo due cose. La prima è che nessuno, nell’ultracentenaria storia del football, avrebbe mai fatto vedere le magie che Diego sapeva mostrare con un pallone. Non era però questa la cosa più complicata da afferrare. Era la seconda, la capacità che solo un italiano di straordinaria empatia poteva avere: quella di capire all’istante cosa avrebbe lasciato Maradona nel cuore degli italiani e soprattutto dei napoletani. Le regole di allora impedirono a Di Marzio di portare subito a Napoli il giocatore più forte della storia del calcio, ma poco importa. A Napoli arrivò comunque, anni dopo, passando prima dalla Liga spagnola,
dove lo amarono, ma non abbastanza. Che coppia e che sguardi, quei due. Di Marzio mostrava con orgoglio le foto dei loro incontri, cambiavano gli abiti, il taglio e il colore dei capelli, le rughe sul viso, passavano gli anni. Cambiava quasi tutto, non quegli occhi fraterni, quegli sguardi reciproci. Il Dio del pallone e un uomo, speciale. Per Gianni il calcio era la vita, ma questo non sarebbe abbastanza per renderlo unico. L’unicità la trovavi nel suo calcio pieno di vita. È morto a Padova, era nato a Napoli l’8 gennaio del 1940, è stato un grandissimo allenatore, capace di portare in A Catanzaro, Catania e Lecce, mica le solite bellezze da concorso. È anche per questo che vinse due volte il Seminatore d’Oro, miglior allenatore italiano, il premio che poi hanno chiamato Panchina d’Oro. Però è bello e giusto così, Gianni è stato un autentico seminatore.

RACCONTAVA per generosità. I suoi racconti che mettevano l’allegria di chi ascolta i «popcorn cuocere», come lo descriveva e come lo ricorda ora Alessandro Bonan, che è un meraviglioso giornalista e uno di famiglia. Bonan è una vita che fa coppia a Sky Sport con il suo amico Gianluca Di Marzio, il figlio di Gianni. Sono quelli del Calciomercato l’Originale che per la televisione italiana è il Saturday Night Live negli Stati Uniti e hai piena facoltà di dirlo, non solo perché gli vuoi bene. È stato Gianluca ad annunciare che suo papà non c’era più e lo ha detto con parole bellissime e un ricordo che ogni padre vorrebbe lasciare al figlio: «Mi hai insegnato tutto». Eccolo l’uomo che scoprì   (il) Dio, del pallone. Empatico, leale, generoso. Per questo Claudio Ranieri, allenatore che ha vinto là Premier League lo ricorda in lacrime: «Gli devo tutto, è grazie a lui che faccio l’allenatore». Per questo il suo calcio del popolo lo ricorda a Cosenza con uno striscione «ci hai regalato il Paradiso, grazie» e nello stadio del suo ex Genoa con un semplice «Grazie». Riposa in Pace Gianni, chi ha vissuto così puoi sorridere anche alla morte.