A 15 giorni dall’uscita in streaming su Netflix Roma – distribuito dalla Cineteca di Bologna – è ancora visibile in alcuni cinema in tutta Italia, a ulteriore riprova, dopo il caso di Sulla mia pelle, che un pubblico per i film in sala e sulla piattaforma esiste, a patto che lo si voglia cercare: che – con le parole del direttore della Cineteca Gianluca Farinelli – si voglia lasciare agli spettatori italiani «il diritto di scelta».
Lo «scontro» Netflix/distribuzione/esercenti è stato al centro del dibattito cinematografico di quest’anno, e la scelta della Cineteca di distribuire il film di Cuarón vincitore del Leone d’oro è stato solo l’ultimo capitolo di una vicenda che va avanti a partire dal Festival di Cannes.

«È un’operazione che non avremmo fatto per qualsiasi film – dice Farinelli – l’abbiamo fatta per Roma perché pensiamo sia un’opera con delle caratteristiche uniche – non solo estetiche ma anche per i temi che tocca, che sono poi quelli del nostro presente. Il grande tema del film è infatti la scoperta della diversità, e come questa possa salvarci». La scelta della Cineteca ha insomma fortunatamente permesso al pubblico di vedere Roma sul grande schermo, ma il lungo «affaire Netflix» è lungi dal dirsi concluso: la stessa libertà di scelta non c’è stata infatti, per esempio, per The Ballad of Buster Scruggs dei fratelli Coen, che pure avrebbe senz’altro portato in sala un pubblico di appassionati del loro cinema. Nel complesso rapporto fra cinema, streaming e leggi ci saranno insomma altri necessari passi da compiere.

È una cosa inusuale che la Cineteca di Bologna distribuisca un film nuovo, come è successo?
Quando ho visto Roma a Venezia non l’ho trovato solo di una straordinaria bellezza, ma anche un film che appartiene completamente alla storia del cinema, e per questo penso sia un lavoro a cui una cineteca debba subito guardare con particolare attenzione. In più è un film che fa pensare immediatamente alla sala cinematografica: per la sua forza, precisione, ricchezza, per l’incredibile lavoro fatto sulle immagini e sui suoni. E infatti ho visto che Roma è stato «adottato» da molte cineteche: in Olanda per esempio è stato presentato dalla Cineteca di Stato. Quando si è prospettata la possibilità che il film non fosse distribuito in Italia mi sono fatto avanti e lo abbiamo adottato. Faccio parte di una generazione che ha scoperto la storia del cinema non solo in sala ma forse soprattutto alla televisione: i grandi classici li ho visti sulla Rai quando aveva un canale solo, per cui non penso che i film vadano visti solo al cinema. Ma credo che Roma sia veramente un’opera che canta le lodi e la gloria della sala cinematografica.

Che rapporto economico è stato istituito con Netflix?
Un normale contratto di distribuzione come qualunque altro.

La polemica ha ripreso vigore per via del fatto che Netflix non comunica i dati sugli incassi e sugli ingressi in sala. Come funziona da un punto di vista fiscale?
Le sale hanno un sistema fiscale molto semplice ed efficace perché il controllo avviene direttamente alla fonte, non c’è possibilità di aggirare le regole: a ogni biglietto si applica una tassa, come se fosse uno scontrino, e il controllo è svolto dalla Siae. Quindi sotto il profilo fiscale il film è completamente in regola e la Siae ne conosce l’incasso esatto. La politica di Netflix è quella di non dichiarare i dati, neanche per quanto riguarda le loro serie in streaming, infatti uno dei punti del contratto che abbiamo firmato è che non dovevano essere diffusi i numeri degli incassi e degli ingressi, e a loro volta neanche le sale possono farlo. Il cinema da molti anni ha uno strumento, il Cinetel, a cui le sale ogni sera comunicano l’incasso e il numero di presenze: Roma non aderisce al Cinetel, per cui non si ha questo dato pubblico – ma l’aspetto fiscale e la diffusione dei dati sono due cose separate.

Anche se sugli incassi non si può dire nulla, diversi giorni dopo l’uscita in streaming il film è ancora in alcune sale. Si può quindi dire che sta andando bene?
È un film d’autore, in bianco e nero, in messicano e mixteco, senza attori famosi; non è una commedia di Zalone né Gravity (dello stesso Cuaron, ndr), e inizialmente è stato distribuito in 58 sale – per cui non parliamo di un lavoro che può cambiare le sorti dei cinema italiani. Ma è un film che non è scomparso, e personalmente mi ha fatto molto piacere vedere che i suoi spettatori a Bologna erano anche molto giovani. Che è la stessa impressione che avevo avuto con Sulla mia pelle: era sorprendente la maggioranza di pubblico giovane che ha frequentato la sala. E anche dopo la disponibilità in streaming continua a esserci un pubblico che preferisce vedere Roma al cinema o che semplicemente non ha l’abbonamento a Netflix: io per esempio non ce l’ho.

Cosa pensa delle proteste di distributori ed esercenti già a partire dall’annuncio della selezione ufficiale del festival di Venezia, dove figuravano tre film Netflix?
Penso che questo sia un grande tema e che nessuno abbia una verità assoluta in tasca, ma credo appunto che i casi di Sulla mia pelle e di Roma provino che c’è un pubblico che vuole vedere al cinema questi film anche se sono disponibili su una piattaforma streaming. E in definitiva Roma dimostra quello che crediamo tutti: che il futuro del cinema sia anche nelle sale.