Economia

Gianfranco Viesti: «Renzi ha tagliato gli investimenti al Sud per finanziare il Jobs Act»

Gianfranco Viesti: «Renzi ha tagliato gli investimenti al Sud per finanziare il Jobs Act»

Intervista «Il Mezzogiorno non è mai stato al centro dell'attenzione del governo Renzi, né nelle grandi né nelle piccole cose – afferma Gianfranco Viesti - Al sud sono stati tagliati gli investimenti per finanziare le defiscalizzazioni del Jobs Act». Dal rapporto Svimez all'università e alla spending review sulla Sanità: un dialogo a tutto campo con uno dei maggiori esperti in economia meridionale

Pubblicato circa 9 anni faEdizione del 4 agosto 2015

Per Gianfranco Viesti, docente di economia applicata all’Università di Bari, la reazione del presidente del consiglio Renzi sul Sud («Basta con i piagnistei, l’Italia è ripartita») è inappropriata. «Un presidente del consiglio deve sapere analizzare la realtà del suo paese e riconoscere le difficoltà dove ci sono – afferma – Se prendiamo i dati della Svimez dal 2000 al 2014 tutto il paese cresce meno della Grecia e il Sud fa molto peggio negli ultimi cinque anni. Non c’è una parte che sta male e una che sta bene. In Italia c’è una parte più debole in un paese tutto debole».

Gianfranco Viesti, economista, università di Bari
Gianfranco Viesti, economista, università di Bari

Qual è il bilancio dell’azione del governo Renzi sul Sud?
Non è stato mai al centro della sua attenzione, né nelle grandi né nelle piccole cose. Non voglio assumere una posizione preconcetta, però l’analisi di Renzi non mi convince:non è tutto un problema di semplificazioni, privatizzazioni e riduzioni fiscali. Intendiamoci le semplificazione sono molto importanti. Se potessimo tagliare un po’ le tasse sul lavoro, non quelle sulla prima casa, sarebbe una buona cosa. Ma i problemi di fondo non stanno lì, ma in una crescita della produttività troppo modesta; nella dinamica molto contenuta degli investimenti pubblici e privati; nell’insufficiente sforzo dell’innovazione; in un cambio di passo dell’economia dopo l’euro che c’è stato, ma a macchie. L’Italia ha un’economia forte, ma dall’inizio del secolo non cresce più. Purtroppo per noi da prima dell’austerità che le ha dato un colpo terribile. Segni di cattivi risultati si vedevano anche prima.

Venerdì il Pd si riunisce, sono stati annunciati 80 miliardi di investimenti e sembra che saranno sbloccati i fondi al Sud per la coesione territoriale. Che fine faranno, visto che manca un ministero?
Questa è una delle cose che più mi dispiacciono di Renzi. Dall’inizio ha ritenuto che questo tema non meritasse un ministero ma un sottosegretario forte, ma straordinariamente impegnato, come Del Rio. Del Rio poi è diventato ministro delle infrastrutture e Renzi si è dimenticato di assegnare la delega a qualcun altro.

Forse andrà al sottosegretario alla presidenza del Consiglio De Vincenti?
Magari ce l’avesse, è persona molto capace anche se anche lui iper-impegnato. La delega ce l’ha Renzi. Non è che una persona risolve tutto, però servirebbe un politico a tempo pieno, soprattutto di questi tempi, per gestire le risorse e tenere il fiato sul collo dei soggetti attuatori come fece Fabrizio Barca da ministro della coesione territoriale con le ferrovie.

Nello «Sblocca Italia» Renzi promuove investimenti per autostrade e trivellazioni. Che tipo di sviluppo sta progettando?
Sulle trivellazioni sono perplesso: trovo ragionevole la protesta di molte comunità perché sembra una decisione che cala dall’alto e in alcuni casi si scontra con l’opposizione sociale sull’Adriatico o in Basilicata. Ma ammettiamo che vi sia una cultura radicalmente contraria in maniera esagerata e che alcuni interventi si debbano fare come il contestato gasdotto Tap. Certo non è il massimo dell’astuzia farlo arrivare su una spiaggia. Renzi ha una cultura leaderistica ed è convinto che il problema dell’Italia sia la mancanza di qualcuno che decide. Non sono d’accordo, uno che prende le decisioni ci vuole, ma dopo che ha creato consenso nei territori e con i cittadini. Capisco che possiamo avere avuto un eccesso di rallentamenti, ma la cultura del commissario che arriva e decide non è giusta democraticamente e non credo che porterà a molti risultati.

In quali settori sono necessari gli investimenti?
Nelle opere di trasporto, nelle ferrovie e nei porti, nell’intermodalità e nelle aree urbane più che nei nuovi assi stradali, con qualche eccezione. Bisogna capire che le cose importanti non sono i fondi europei o le misure speciali, ma la scuola, la sanità, l’ambiente, l’ordine pubblico, cioè politiche pubbliche ordinarie di sufficiente dimensione e di buona qualità. Questo governo ha molto la cultura del singolo progetto.Credo che questra cultura non sia sufficiente senza una visione della direzione da prendere. Però certamente non guasta. Prendiamo Pompei, Bagnoli e Taranto. I risultati sono molto alterni. A quanto ne so, a Pompei hanno fatto qualcosa, Bagnoli è ferma, Taranto ci sono stati i primi incontri. Mi piacerebbe che su questa cultura prendesse impegni più precisi. Riconosco che questa idea del progetto con un nome ha aspetti positivi, individua chiaramente un oggetto di intervento, può produrre risultati che si vedono. Il renzismo è in parte andato incontro ad una reazione comprensibile rispetto agli eccessi di programmi senza progetti precisi. Però, in questa italia, in questo momento, senza una visione i progetti sono benvenuti, ma non bastano.

Sembra che il Sud sia stato destinato al turismo. È sostenibile un’economia votata all’intrattenimento?
Certamente no. Un’economia europea a medio reddito deve crescere con tutta la gamma delle attività economiche e tra queste la più importante è l’industria intesa in senso ampio. Per me industria è anche Google e Blabla car. Nel Mezzogiorno c’è ancora un bel pezzo di industria, nonostante la crisi. Troppo poca, meno di prima, ma incommensurabile rispetto a quella greca, con tutto il rispetto per i nostri vicini. Aeronautica, automobile, agroalimentare, un pezzettino di made in Italy, presenze molto preziose da rilanciare con un termine non renziano, che invece a me piace, di politica industriale. Ciò detto, il turismo non è il diavolo. Al sud deve crescere, facendo però attenzione a non farlo diventare come quello nella Spagna del sud. Lo si può fare attraverso la de-stagionalizzazione, i beni culturali, il cibo, la natura e l’aumento delle presenze straniere che sono in enorme crescita negli ultimi due anni grazie ai voli low cost a Napoli, Catania e Bari.

I contributi nel jobs act sono utili per fare crescere l’occupazione in questi contesti?
Non ne sono entusiasta. Il Jobs Act è una scelta politica che sposta il potere contrattuale verso i datori di lavoro e lo toglie ai lavoratori. La defiscalizzazione è una politica molto costosa. Ma se uno vuole buttare i soldi lo fa adesso visto che l’occupazione è molto bassa. Visto da sud non è stata una grande scelta: i soldi sono stati presi da risorse destinate al sud. In più si tratta di una misura identica su tutto il territorio nazionale e difficilmente genererà incrementi occupazionali nelle regioni più deboli. Le imprese non assumono perché non c’è domanda, non perché le regole sul mercato del lavoro sono vincolanti. Negli ultimi 20 anni l’Italia è radicalmente cambiata e le parti sociali sono state molto flessibili accettando contratti di tutti i tipi.

Di recente si è occupato del sistema universitario. Dopo la scuola, il governo sembra intenzionato a intervenire di nuovo sugli atenei. Con quale approccio, secondo lei?
La cosa che mi lascia esterrefatto è che la politica berlusconiana sul merito e valutazioneè stata proseguita negli stessi dientuici termini dal governo Monti, Letta e poi da quello renzi sullì’università.

Come se lo spiega?
C’è un disegno implicito di riogranizzazione del sistema universitario ispirato all’orientamentio selettivo che secondo me è profondamente sbagliato. Ci vorrebbe invece un raffforzamento qualitativo. A sud ci sono università che funzionano male. Loro dicono che bisogna chiuderle, io dico che bisogna migliorarle.

Da dove nasce questo orientamento sull’università?
La mia è un’ipotesi interpretativa. Abbiamo classi dirigenti che hanno perso la fiducia nell’Italia e si curano di alcuni pezzettini, sperando che ce la facciano. Per questo intervenire a Sud è così interessante. Significa credere in un sistema nazionale che piano piano si rafforza. Non ho particolare fiducia in questo governo, ma l’italia è in grande movimento e non bisogna perdere la speranza. Non si tratta di sparare a zero nè essere conservatori. L’Italia prima di Renzi non era una meraviglia. Se non ci piace quello che sta facendo, bisogna cambiarla diversamente, non difendere solo l’esistente.

Secondo lei che tipo di atteggiamento bisogna avere a sinistra rispetto alla spending review?
Io credo che non dobbiamo rifiutare la parola efficienza, ma dobbiamo discutere qual è il senso delle operazioni che si fanno. C’è una spending review di destra e una di sinistra. Quella di destra riduce il più possibile l’intervento pubblico. Quella di sinistra aumenta il più possibile l’efficacia dell’intervento pubblico, anche risparmiando, che non fa male.

La spending review di Renzi che taglierà 2,3 miliardi nel 2016 è di destra o di sinistra?
Ho molte perplessità sulla coppia Gutgeld-Perotti che la sta facendo. Li vedo troppo centrati sull’ottenimento di risparmi per potere tagliare le tasse. È una posizione del tutto ragionevole che definirei un pochino di destra. La spending review dovrebbe essere molto più incentrata sull’intervento sulla qualità. Se si taglia la spesa sanitaria a prescindere dalle condizioni materiali non è detto che miglioro la salute delle persone ma la peggioro. Nel sud si consumano troppi farmaci perché c’è una bassa scolarità e una minore cultura della salute, per questo la spesa farmaceutica pro capite è più alta. Un governo riformatore dovrebbe aumentare la qualità media degli ospedali partendo da quelli che ce l’hanno più bassa.

È quello che stanno facendo Gutgeld e Perotti?
Al momento non mi risulta..

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