Taccuino di strada, viaggio sentimentale, autobiografia intellettuale: Vagabondare a Berlino Itinerari eccentrici tra presente e passato (Raffaello Cortina, pp. 360 € 25,00) è l’ultimo libro di Giampiero Piretto, uno dei primi in Italia a declinare congiuntamente letteratura e cultura visuale, che ci accompagna alla scoperta dei luoghi e soprattutto dei «tempi» nascosti della Berlino riunificata.
È uno sguardo strabico quello che Piretto posa sulla città. Slavista e russista di professione e frequentatore della Berlino prima della caduta del muro e ancora capitale della Ddr (Repubblica Democratica Tedesca), Piretto guarda con la profondità di chi è consapevole della storia di ogni singolo «oggetto» descritto ed è insieme condizionato dalla sua extraterritorialità in quanto specialista del sistema sovietico e in quanto italiano che ha scelto Berlino come sua seconda (o forse prima) residenza.

La Berlino di Piretto rimane insomma, proprio grazie a questo sguardo doppio e triplo, una città condannata a un «eterno divenire», come già agli inizi del secolo scriveva uno dei suoi massimi interpreti, Karl Scheffler. E Berlino letteralmente diviene sotto i nostri occhi grazie alla flânerie, alle passeggiate non autorizzate e senza scopo, di un autore che ben conosce i suoi predecessori, da Walter Benjamin a Franz Hessel.

Piretto procede rigorosamente a piedi, anche se non disdegna l’uso dei mezzi pubblici, che trasformano la città in una sequenza di fotogrammi capaci di ricordare il panorama o il film. Il suo sguardo letteralmente vola sulla città, a una velocità che coagula in lucide prose e ancor più rapide immagini (le sue ma anche quelle, splendide, di Manuele Fior, anche lui berlinese di adozione) tempi e spazi diversissimi, storie e annotazioni che partono, certo, dalla sua esperienza personale, ma sono anche il precipitato di una vita dedicata alla letteratura e all’immagine.

Il lettore troverà infatti nelle prime pagine una teoria della passeggiata che si nutre della letteratura dedicata a Berlino, un intreccio di riferimenti che affascina anche il critico più smaliziato, esposta con il tono intimo di chi queste esperienze – da Benjamin a Kracauer, da Roth a Walser – le ha vissute personalmente.

Descrizioni di monumenti desueti e mercati transculturali si alternano, in questo novecentesco viaggio sentimentale, a resoconti di feste per la strada e panoramiche di centri commerciali esotici e inconsueti, architetture in rovina e periferie, disastri umani e politici.

Piretto ha già dimostrato di saper fare una storia culturale – per esempio dell’Unione Societica – attraverso la storia materiale degli «oggetti» che abitano e determinano una civiltà. Oggetti spesso insignificanti – la verità sta sempre nel dettaglio – o magniloquenti e kitsch, ma sempre guardati con l’ingenuità conquistata a fatica di chi si è spogliato dei propri pregiudizi accademici e persino umani e riesce ad abbandonarsi a una «deriva» foriera però di inusitate sorprese.