Cinque anni fa, nel 2013, le proteste nate nel cuore di Istanbul per difendere il parco Gezi dall’ennesima speculazione edilizia – marchio e piaga della Turchia a guida Akp – hanno visto la partecipazione di milioni di cittadini nelle piazze di tutto il paese. L’esperienza di lotta comune all’interno di un movimento eterogeneo quale appunto quello di Gezi, ha avuto il proprio trait d’union nella diversità: genere, colore politico, provenienza sociale e addirittura tifo calcistico.
Il libro del giornalista turco-tedesco Deniz Yücel, tradotto in italiano da Serena Tarascio (Ogni luogo è Taksim. Da Gezi Park al controgolpe di Erdogan, Rosenberg & Sellier, pp. 272, euro 16), è una ricostruzione dettagliata e profonda delle ragioni e dello spirito di questo movimento che raffigura la più imponente protesta della storia repubblicana della Turchia. Il volume, uscito in stampa per la prima volta in Germania nel 2014, arriva finalmente in Italia dopo gli appelli rivolti dalla casa editrice tedesca Nautilus agli editori europei, e verrà presentato nella cornice di Book Pride, a Milano, domenica 25 marzo (ore 18).

L’AUTORE, CORRISPONDENTE in Turchia per il Die Welt, ha trascorso un anno e due mesi di detenzione – in isolamento all’interno del carcere turco di Silivri – con l’accusa di terrorismo, prima di essere finalmente liberato dietro cauzione lo scorso 16 febbraio. I suoi reportage e le sue interviste, considerate strumento di propaganda terroristica dalle autorità turche, sono la struttura portante del volume appena uscito qui in Italia.
Yücel analizza lo spirito di Gezi attraverso luoghi, simboli e persone. È una storia politica della Turchia contemporanea dove a fronte della crescita economica si evidenziano tutte le ricadute sociali degli ultimi decenni su una società sempre più polarizzata. I sedici capitoli sono dedicati a una ricostruzione storica e socio-politica delle città, dei quartieri e delle piazze che hanno contraddistinto la mobilitazione da maggio a settembre 2013.

UN’ESTATE DI LOTTA, che ha lasciato senza vita undici persone e ne ha ferite diverse migliaia, sotto i proiettili di gomma e i lacrimogeni sparati dalla polizia ad altezza uomo. Se Erdogan apostrofa quelli della piazza come çapulcu, ovvero vandali, l’offesa sprezzante diventa allora l’etichetta dietro la quale unirsi.
Nazionalisti, socialisti, kemalisti, musulmani anticapitalisti, curdi, armeni, aleviti ed ebrei contro la violenza della polizia, l’oppressione, la corruzione e l’autoritarismo nonostante decenni di separazione e odio, nonostante profonde diversità d’appartenenza. Perché lo spirito di Gezi è sì battagliero e politico, ma possiede anche un grande senso dell’umorismo. Perché è amichevole, è femminista, è giovane.

UNA GENERAZIONE che non ha vissuto la giunta militare dei primi anni Ottanta, è una generazione che non ha paura e si ribella. Yücel la mette a nudo e con le sue interviste immerge il lettore nella società di un Paese dai mille volti e ricco di contraddizioni. La storia di una giovane manager si incrocia così con quella dei ragazzi del quartiere a maggioranza alevita di Gaziosmanpasa, una realtà fino a quel momento lontana anni e chilometri dai grattacieli di Istanbul.
La protesta mette in contatto per la prima volta quelle diversità mai state così vicine. Il sentimento comune di ribellione diventa pratica politica, inclusiva, contro ogni discriminazione.
L’autore attraversa tutta la Turchia, dalla storica piazza politica di Taksim, simbolo della sinistra turca ma anche degli islamisti, ad Izmir «l’infedele» fino ad Antakya ai confini con la Siria. Il libro non raggira quel precario equilibrio su cui la repubblica gravita fin dalla sua fondazione nel 1923 e con estrema onestà ripercorre le pagine più dolorose del Novecento: il sangue dei pogrom contro le minoranze, i colpi di stato, le quattromila morti politiche degli anni Settanta, l’inizio della guerra tra il Pkk e lo Stato. Yücel ha la capacità di prefigurare nel movimento di Gezi il primo tentativo di (ri)conciliazione della società turca e separa con una linea retta le nuove generazioni da quelle precedenti, annichilite dalla giunta militare del generale Evren e dunque incapaci di interpretare i sentimenti di emancipazione di una gioventù cresciuta sotto il governo conservatore del partito Akp.

LA REAZIONE GOVERNATIVA a Gezi è infine scivolata verso uno sconsiderato autoritarismo come riporta dettagliatamente Murat Çinar nella ricca postfazione (cinque capitoli) all’edizione italiana del libro di Yücel. Un lustro contrassegnato dall’acuirsi delle politiche conservatrici che dal tentativo di golpe del 2016 sono oggi accompagnate da una profonda limitazione di diritti e libertà.
Çinar, ricomponendo quegli elementi che hanno pesantemente contribuito alla creazione di un modello liberticida, offre una riflessione sulle sorti dello spirito di Gezi da cui traspare un monito. Perché ogni luogo, può essere Taksim.