Get Back, non è un documentario musicale sulla session dei Beatles del 1969, è una pietra miliare del cinema tout court. L’antefatto è noto. Gennaio 1969 i Beatles, dopo avere smesso da tempo di fare concerti dal vivo, sono rimasti incuriositi da un’esperienza col pubblico e decidono di provare a realizzare un intero album registrato dal vivo. Ci sono diversi problemi. Il primo consiste nel fatto che sono orfani: da un anno e mezzo Brian Epstein, il cosiddetto quinto Beatle, se n’è andato all’età di 32 anni. Era stato il giovane che aveva scoperto e valorizzato lo smisurato talento del quartetto trasformandoli in fenomeno planetario. Loro hanno deciso di non sostituirlo, di trasformarsi in manager di se stessi. Più facile a dirsi che a farsi.

IL CARISMA e il fiuto di Brian era un riferimento, ora sembra essere Paul quello che ha preso maggiormente in mano le redini delle scelte del gruppo. Non solo artistiche, ha da puntualizzare su tutto. Si è messo in testa di essere il leader assoluto. John è perdutamente innamorato di Yoko e sembra non voler creare problemi, George invece è piuttosto insofferente mentre Ringo appare come il collante. Comunque sia hanno deciso di fare uno show televisivo per registrare l’album e diffondere così anche lo spettacolo che registrano sin dalle prove, curato da Michael Lindsay Hogg. Ecco allora l’enorme studio a Twickenham trasformato in sala prove. Ma le cose non funzionano come dovrebbero. L’impianto, l’acustica, ma soprattutto la chimica creativa tra loro non è più quella di un tempo. La battuta pronta di George ai giornalisti statunitensi che chiedono se si taglieranno i capelli dopo che gli altri hanno detto no in coro e lui «ma li ho tagliati ieri». Risposta magnifica e spiazzante. E al ritorno i soliti giornalisti chiedono se siano mai riusciti nell’allontanarsi da qualcuno durante il tour e Ringo indicando un altro «Sì, lui si è allontanato da me due volte». No, ora è tutto più difficile al punto che George prende le sue cose e se ne va, piuttosto seccato con Paul dicendo che non torna. Che fare? Gli altri tre vanno a casa sua, senza successo. Allora John e Paul si confrontano in una saletta, solo loro due, senza testimoni, ma c’è un microfono anche lì che coglie il dialogo. E Paul dice «fra 50 anni rideranno dei Beatles sciolti perché Yoko si è seduta su un amplificatore». In realtà il problema non è Yoko, che pure è molto invadente, appiccicata a John mentre provano, mentre un paio di Hare Krishna amici di George stanno da parte discreti. Non bisogna dimenticare che, pur essendo il gruppo più talentuoso, famoso e ricco del mondo, i quattro sono dei giovani. Ringo, il più anziano, ha 29 anni, George il più giovane 26. Stanno insieme da sempre.

HANNO CONDIVISO tutto, ora il giocattolo sembra essersi rotto. Solo quando parte un brano musicale, anche vecchio, anche di altri, riaffiora il piacere di fare musica insieme. E lascia intravedere lo humour di John che, a proposito di boyscout afferma «masturbarsi non fa diventare ciechi, solo molto miopi», sottolineando la sua condizione. Ma il progetto non decolla, ora George è tornato, Paul però è deluso perché decidono che non sarà show televisivo, forse un film, e comunque tornano agli studi Apple a provare e registrare. E qui ritrovano anche la magia, forse non sempre, forse non quella di un tempo, ma assistere alla nascita creativa di alcuni brani divenuti poi epocali è un’esperienza fantastica, corroborata dall’arrivo del giovane tastierista afroamericano Billy Preston che sembra avere portato nuova linfa e vitalità, oltreché equilibrio, mentre John prosegue con il tormentone «e ora i vostri anfitrioni della serata: i Rolling Stones».

E DOPO quasi un mese sono diversi i brani consolidati che appariranno nell’album, nati davanti ai nostri occhi e alle nostre orecchie. Del progetto dal vivo rimane solo quell’esperienza finale incredibile del concerto sul tetto degli studi, con i passanti entusiasti, i poliziotti seccati. Testimonianza dell’ultimo concerto pubblico dei Beatles, chiuso da John che dice «speriamo di avere superato l’audizione». In quasi otto ore di filmato (a partire da 150 ore di materiali audio e 60 di video) – curate da Peter Jackson – si colgono dinamiche che nessun libro, nessuna intervista, nessun giornalista potrà mai mettere insieme. E soprattutto è affascinante vedere Paul alla batteria, Ringo al piano, John alla chitarra hawaiana, George che si schermisce dicendo di non essere Clapton e John che la butta lì «se non torna, prendiamo Clapton», più provocazione che altro, perché nonostante tutto sono ancora i quattro ragazzotti di Amburgo (con buona pace di Ringo, ma rievocano anche il Cavern) che amano ricordare quell’esperienza che li ha formati, che li ha fatti esplodere come interpreti, prima ancora che inarrivabili musicisti. Peccato che, per ora, la maratona Get Back sia fruibile solo su Disney + e soprattutto che Epstein e poi John e poi George se ne siano andati troppo presto.