Arrivano i primi segnali di distensione per la martoriata opposizione politica riformista iraniana. Mehdi Karrubi (nella foto), candidato alle contestate elezioni presidenziali del 2009 che incoronarono Mahmoud Ahmadinejad per il suo secondo incarico, è stato trasferito venerdì notte dall’edificio in cui veniva trattenuto e condotto nella propria abitazione nel quartiere Jamran, a nord di Tehran. Il presidente Hassan Rohani aveva promesso di rilassare i controlli sull’anziano leader politico, che per problemi di salute era stato più volte trasferito in ospedale negli ultimo mesi. Resta ancora sotto custodia dei pasdaran dopo tre anni, Hussein Mussavi, arrestato per sedizione in seguito alle manifestazioni di protesta del febbraio 2011 che portarono migliaia di persone in piazza Azadi a Tehran, in solidarietà con le rivolte che stavano scoppiando nei principali paesi del Medio oriente.

Rohani aveva già facilitato la vita al leader carismatico, oppositore dell’ayatollah Khomeini, Hussein Montazeri, per anni agli arresti, prima che morisse. Sta facendo lo stesso ora con Karrubi e Moussavi a cui da mesi sono permesse visite più frequenti. Eppure tarda ad arrivare una decisione dei giudici iraniani che scagioni completamente le centinaia di detenuti politici in Iran. Buoni segnali vengono anche dall’Unione europea, dopo lo spegnimento delle centrifughe nelle principali centrali nucleari iraniane, in ottemperanza dell’accordo di Ginevra del 24 novembre scorso. I primi 550 milioni di dollari, parte dei 4,2 miliari dei proventi della vendita del petrolio iraniano, congelati in istituti di credito europei, sono stati versati su un conto svizzero nell’ambito dell’intesa nucleare di Ginevra.

Passi avanti nella lenta distensione tra Usa e Tehran: dopo l’inattesa telefonata del settembre scorso tra Obama e Rohani, domenica, il segretario di stato John Kerry ha incontrato il ministro degli Esteri iraniano, Javad Zarif, a margine della Conferenza sulla sicurezza di Monaco. «Hanno discusso dei prossimi negoziati su un accordo globale sul nucleare», ha ammesso il portavoce della Segreteria di Stato, Jen Psaki. Di ritorno da Monaco, il carismatico politico ha ribadito la sua condanna per il genocidio ebraico («una crudele tragedia»). «Non abbiamo nulla contro gli ebrei. Non ci sentiamo minacciati da nessuno», ha aggiunto Zarif, distanziandosi dalle posizioni dell’ex presidente Ahmadinejad. Altri segnali distensivi in politica interna arrivano da giornalisti, giudici e dal mondo della cultura. 700 giornalisti iraniani hanno firmato una lettera in cui chiedono a Rohani di ripristinare il sindacato della stampa, chiuso nell’estate del 2009 dopo le proteste anti-regime. Lo decise il temuto procuratore Saeed Mortazavi, in seguito rimosso dal suo incarico. È stata disposta poi la chiusura del braccio 26 della Corte rivoluzionaria di Tehran, la temuta assise (guidata dal giudice Abbas Pir Abbasi) che ha falcidiato decine di attivisti della società civile iraniana.
Ha suscitato interesse l’apertura del festival del cinema di Tehran (Fajr). È intervenuto l’annunciatore, Farzad Hassani, a lungo al bando per un alterco avuto con un capo della polizia. È stato insignito di un riconoscimento il tecnico del suono, Jahangir Mirshekari, premiato dall’ex presidente Mohammad Khatami; proiettato infine il film Bashu, il piccolo straniero del grande regista Bahram Beizai, con Susan Tslimi, attrice anti-regime, emigrata in Svezia. Durante la cerimonia è stato citato l’attore Behrouz Vossoughi, stella dei tempi dei Pahlavi. Infine, nel suo intervento in occasione della cerimonia, il presidente Rohani ha chiesto di «dimenticare il passato»: piccoli segni per un paese che non vede l’ora di voltare pagina.