Siria, Yemen, Palestina, Israele e, naturalmente, Donald Trump. Nomi e luoghi che hanno segnato le cronache mediorientali nel 2018. Dando seguito al passo mosso il 6 dicembre 2017, quando ha annunciato il riconoscimento di Gerusalemme capitale di Israele, il presidente americano ha ordinato il trasferimento, lo scorso 14 maggio, dell’ambasciata Usa da Tel Aviv nella città santa. Una giornata caratterizzata da proteste palestinesi e da critiche internazionali. Quel giorno oltre 60 palestinesi sono stati uccisi a Gaza, colpiti dal fuoco dei tiratori scelti israeliani durante le manifestazioni lungo le linee con lo Stato ebraico della “Grande Marcia del Ritorno” cominciata il 30 marzo e che prosegue ancora. Per colpire i palestinesi il presidente Usa quest’anno ha ordinato il taglio delle donazioni americane per centinaia di milioni di dollari all’Unrwa, l’agenzia dell’Onu che assiste i profughi palestinesi, e all’Autorità Nazionale del presidente Abu Mazen.

Un mese prima del trasferimento dell’ambasciata a Gerusalemme, nella notte tra il 13 e il 14 aprile, Trump aveva messo in atto, assieme a Francia e Gran Bretagna, un massiccio attacco missilistico contro la Siria colpendo presunti laboratori di produzione di armi chimiche e depositi di armi non convenzionali nelle regioni di Damasco e Homs e nel distretto di Qalamun. Attacco lanciato, secondo la motivazione ufficiale, per punire il presidente siriano Bashar Assad responsabile, secondo Trump e i suoi alleati, di un lancio di armi chimiche a Douma, nella Ghouta orientale, che non è mai stato provato. Quel bombardamento non ha impedito all’esercito siriano di liberare dalla presenza di gruppi salafiti armati e jihadisti i sobborghi orientali e meridionali di Damasco e le regioni meridionali del paese a ridosso del Golan occupato da Israele. Lo scorso 19 dicembre Trump ha annunciato l’uscita degli oltre 2000 soldati Usa dalla Siria che avevano sostenuto i combattenti curdi nella lotta all’Isis.
Il presidente americano non ha revocato l’appoggio all’offensiva saudita in Yemen contro i ribelli sciiti Houti, nonostante i morti, le devastazioni, la fame e il colera causati dai bombardamenti di Riyadh. Neppure il clamore mondiale suscitato dall’assassinio del giornalista e collaboratore del Washington Post, Jamal Khashoggi, entrato il 2 ottobre nel consolato saudita di Istanbul e dal quale non è mai uscito, e il coinvolgimento diretto nella vicenda dell’erede al trono saudita Mohammed bin Salman, hanno spinto Trump a rivedere il suo sostegno all’Arabia saudita.

Il 2018 porta in eredità al nuovo anno la possibilità di una guerra tra Israele, l’Iran e il movimento sciita libanese Hezbollah, e tra Israele e Hamas a Gaza, dove oltre due milioni di palestinesi vivono in condizioni sempre più dure. A causa di depistaggi e manovre egiziane resta ancora senza colpevoli l’assassinio del giovane ricercatore italiano Giulio Regeni. Il 2018 si è chiuso con l’annuncio che il prossimo 9 aprile gli israeliani andranno alle urne per il rinnovo della Knesset.