Non è una novità: il futuro dell’Unione europea passa da Karlsruhe. Nella cittadina del ricco Baden, nella Germania sud-occidentale, si trova la sede della Corte costituzionale tedesca (Bundesverfassungsgericht), ossia di quella istituzione che, almeno dalla storica sentenza (nel 1993) sul Trattato di Maastricht in poi, osserva e giudica scrupolosamente ogni passaggio-chiave della vita della Ue. L’unica a farlo in tutto il continente. E l’unica con il potere di far tremare i decisori comunitari.

Oggi si concludono i due giorni di udienza pubblica che vedono fronteggiarsi, davanti ai custodi della Costituzione della Repubblica federale, avversari e difensori delle più recenti scelte della Banca centrale europea (Bce) e dei governi dei Ventisette. Da una parte, nientemeno che la Banca centrale tedesca (Bundesbank), insieme a singoli esponenti euroscettici del centrodestra, ma anche ad associazioni civiche progressiste e al gruppo parlamentare della Linke, il partito social-comunista. Dall’altra, il governo di Angela Merkel e la Bce, rappresentata da Jörg Asmussen, il membro tedesco (con tessera del Partito socialdemocratico in tasca) del suo comitato esecutivo.

Lo schieramento dei critici è tutt’altro che omogeneo, ma l’obiettivo è lo stesso: ottenere che i magistrati di Karlsruhe dichiarino non conforme alla Legge fondamentale tedesca la partecipazione della Germania al piano di acquisto indefinito da parte della Bce di titoli di stato dei Paesi europei in crisi. Quel piano, chiamato nell’oscuro gergo Ue con l’acronimo inglese Omt (Outright monetary transactions), che annunciò il governatore Mario Draghi nel luglio dell’anno scorso, quando da Londra affermò che la Bce, «nell’ambito del proprio mandato» era «pronta a salvaguardare l’euro con ogni mezzo».

Per una parte dei ricorrenti, proprio «la salvaguardia dell’euro con ogni mezzo» sarebbe al di fuori del mandato dell’Eurotower di Francoforte: invece di limitarsi – questa l’accusa – a vigilare sulla stabilità della moneta, nel comprare indefinitamente i loro titoli di debito starebbe finanziando i Paesi in crisi. Un’azione vietata dai trattati che reggono il funzionamento della Ue. Tradotto in politica: i soldi dei parsimoniosi contribuenti tedeschi finirebbero, via Bce, nelle casse degli stati «spendaccioni» senza garanzie adeguate.

Tali argomenti, sostenuti a Karlsruhe dalla Bundesbank e dagli euroscettici democristiani, non sono gli stessi degli «accusatori» di sinistra. Questi ultimi insistono invece sull’assenza di un controllo democratico delle decisioni assunte dalla Bce, che può disporre del denaro dei cittadini europei senza dover rispondere a nessun organismo eletto dai cittadini stessi. Una critica che investe non solo il piano della Bce di acquisto di titoli di debito, ma anche il cosiddetto «fondo salva-stati», ossia il Meccanismo europeo di stabilità (Mes) istituito dal Consiglio europeo a fine dicembre 2011. E cioè quell’importante tassello nel complicato mosaico della nuova governance economica europea che fonda il sistema in base al quale i Paesi in crisi (o le loro banche) ricevono i crediti necessari, ma in cambio dell’obbligo a fare le «riforme» neoliberali gradite a Bruxelles (leggasi Berlino). Quel che sta accadendo in Portogallo e Spagna, ad esempio.

La difesa dell’operato della Bce, e dei governi europei artefici del «fondo salva-stati», si basa essenzialmente sulle possibili conseguenze nefaste per la stabilità dell’intera zona-euro che avrebbe l’accoglimento dei ricorsi da parte dei magistrati della Corte: lo hanno ribadito il rappresentante dell’Eurotower e il ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schäuble. Comincia a serpeggiare anche una certa insofferenza nelle classi dirigenti della Repubblica federale nei confronti dei giudici di Karlsruhe: perché mettono il becco in cose più grandi di loro?

Riserve sul ruolo della Consulta tedesca in questa vicenda esistono, peraltro, anche a sinistra. Il quotidiano progressista die Taz, ad esempio, nel commento a firma di Eric Bonse, riconosce le buone ragioni di chi lamenta il deficit democratico nelle decisioni europee, ma denuncia come «in Germania la discussione sia condotta come se si trattasse solo di noi: della nostra Costituzione, del nostro Parlamento, dei nostri soldi». E invece riguarda tutti gli europei, compresi quelli che subiscono più direttamente le politiche dell’austerità. Ragione per la quale il tribunale più giusto per una simile causa non è quello di Karlsruhe, ma la Corte di giustizia della Ue, a Lussemburgo. Che potrebbe effettivamente entrare in gioco, se così decidessero i giudici tedeschi. Ma per la sentenza c’è ancora da attendere: non arriverà prima di qualche mese. A elezioni tedesche avvenute, probabilmente.