Nel 1968 Georg Zuter (1942-2016) è studente presso la Accademia delle Arti di Berlino. Si è iscritto nel 1966. Nel 1965, ventitreenne, aveva tenuto a Duisburg la sua prima personale. La seconda si ebbe nel 1967, a Leeds, in Inghilterra, ed ottenne un particolare successo. Tra 1967 e 1971 partecipa regolarmente alle annuali esposizioni della tradizionale Grosse Berliner Kunstausstellung. Nel giro di quei sei, sette anni si mette in luce nell’ambiente dei critici e degli artisti non solo berlinesi e viene affermandosi come uno dei promettenti pittori tedeschi della sua generazione. Nel 1973 Zuter opera una scelta radicale. Lascia Berlino e si stabilisce a Ginostra, sull’isola di Stromboli, recidendo ogni legame con il mercato dell’arte. È una decisione ricca di significato. Se ne possono meglio comprendere le ragioni, credo, quando la si ponga in relazione con gli esiti del Sessantotto europeo.

A QUESTA STREGUA, la determinazione con la quale Zuter realizza il suo proposito contiene qualcosa di esemplare, che riguarda, cioè, un tornante della vicenda della sua generazione. Si parlò allora, nei primi anni Settanta, di restrizione e di riflusso dei movimenti di contestazione che avevano investito le università e le fabbriche delle società capitalistiche, dall’Occidente al Giappone. Ma altrettanto rilevanti furono allora i contestuali processi di radicalizzazione che investirono certe linee politiche portate avanti dai movimenti, così come, in altri casi, ne fissarono alcuni dei presupposti ideologici e culturali. L’insegnamento del Sessantotto è appreso da Zuter nei termini d’una radicalità estrema vissuta ed elaborata come una essenziale acquisizione dalla sua coscienza d’artista. Abbandonare Berlino, dunque, non equivale ad una repulsa con la quale egli si allontana dal suo talento di pittore. E non si tratta nemmeno di un suo ritiro dal campo della ricerca artistica che egli sia giunto, dopo il Sessantotto, a giudicare, per una qualsiasi ragione, superflua o inattuale rispetto all’impegno, agli studi e ai compiti che la situazione del conflitto sociale vuol richiedere.

DALL’ESPERIENZA del Sessantotto Zuter ricava una lezione, abbiam detto, di radicalità estrema. Per quanto lo riguarda, vanno ridotte a un degré zéro le pratiche diffuse e dominanti nel mondo dell’arte. Quindi sottrarsi agli imperativi meccanismi dell’affermazione critica strettamente collegati alle astute convenienze della promozione commerciale. E interdirsi i luoghi del circuito internazionale: le gallerie e le rassegne, i musei e le iniziative mediatiche. Drastiche, irrevocabili scelte che portano Zuter a riconsiderare gli stessi fondamenti e i termini acquisiti della sua ricerca pittorica. Un esame improrogabile che gli par necessario condurre con tassativo rigore fino all’estremo limite. Così Zuter revoca in dubbio e destituisce di valore i presupposti concettuali ai quali egli si era finora attenuto. Elide così le raffinate modalità dell’esecuzione perseguite e azzera le sapienti tecniche fino a quel momento da lui esercitate. La residenza a Ginostra comporta un inizio della sua ricerca di pittore da intraprendersi su basi assolutamente nuove. Sostengo che quel lembo discosceso di terra volto a ponente, alle falde dei crateri dello Stromboli, diviene l’opera dell’arte sua, alla realizzazione della quale Zuter si applica con regolare intensità nel corso di tre decenni, fin oltre la soglia dell’anno 2000. Non è agevole dar conto della quotidiana, costante, mai sospesa ricerca di Zuter che ha per unico soggetto Ginostra. Si dicano, di Ginostra negli anni Settanta, alcuni caratteri. Per l’emigrazione, la più parte delle abitazioni deserte, poche decine di case abitate e poche decine di abitanti. Numerosi ruderi invasi dalle opunzie e dai fichi d’India. Terrazzamenti piantati ad ulivo assai poco accuditi. Mancanza di luce elettrica. L’acqua è quella piovana raccolta in cisterne. Sentieri e ripidi tratturi. Sulla scogliera un minuscolo attracco che consente l’approdo a gozzi e lance di esigua stazza. Tali i luoghi. Delle forme della Ginostra realizzata da Zuter non è stato dato, fino ad oggi, adeguato conto. Per questo compito, che mi riprometto di tentare, risultano intanto preziose alcune fotografie di Andrea Jemolo.