I sorrisi prima della tempesta. Non aveva certo un collegio e competitor difficili, Paolo Gentiloni. Ma a fine serata la vittoria scontata nel collegio – sebbene lo spoglio all’una sia praticamente nullo – è una consolazione da poco al confronto della debacle di tutto il partito. E da palazzo Chigi, dove si è rintanato per seguire lo spoglio con i suoi collaboratori, Gentiloni non parla, mentre la possibilità di rimanere premier pro tempore in mancanza di una maggioranza, rimane è sempre più risicata.
Al presidente del consiglio il Pd aveva chiesto di presentarsi alla camera nel collegio numero 1 del Lazio, il più centrale di Roma. Delimitato a nord da ponte Milvio, a ovest dal Vaticano e est da Corso Francia e Villa Borghese e a sud dal quartiere Piramide, dati delle ultime elezioni alla mano, era il più sicuro per il pd nella capitale. Quanto agli avversari, il centrodestra schierava un vecchio lupo centrista della politica romana e laziale – Luciano Ciocchetti per i fittiani “Noi con l’Italia” – mentre il M5s si era affidato all’imprenditore Angiolino Cirulli, vittima di Banca Etruria e fra primi a denunciare il Boschi-gate.
Per Gentiloni si trattava comunque del collegio di residenza. Il premier infatti ha votato verso le 10 del mattino al liceo classico Pilo Albertelli di via Manin, vicino a via Cavour alla stazione Termini. Accompagnato dalla moglie e dal fido Filippo Sensi – il portavoce ereditato da Renzi e candidato anch’egli sicuro nel solo plurinominale tra Firenze e Mugello – Gentiloni ha fatto la sua piccola fila (notata dalle agenzie di stampa la presenza anche di un «cagnolino») da elettore comune stringendo mani per poi entrare nel seggio pieno di fotografi e telecamere. Dopo il piccolo siparietto sul famigerato codice antifrode – «È complicato questo fatto dei numeri», «È un po’ più complicata la procedura, ma ci atteniamo alle regole», risponde lo scrutatore in sincro con il presidente di seggio – il premier è poi uscito salutando i tanti giornalisti presenti con un commento financo esagerato: «Magnifico».
Il vero candidato premier del Pd, l’uomo che con il passare dei giorni – e il peggioramento dei sondaggi – è diventato l’ancora di salvezza perfino dei renziani. La controprova è arrivata a metà pomeriggio. La foto sorridente di Gentiloni – e non di Renzi – è stata usata dal profilo Facebook ufficiale del partito per invitare tutti all’ultimo sforzo: «Il Presidente del Consiglio Paolo Gentiloni ha votato, fatelo anche voi! C’è tempo fino alle 23 di oggi», era il messaggio. Evidentemente non seguito dall’elettorato.
Un passaggio di consegne che già lasciava presagire il pessimismo che serpeggiava tra le fila del Partito democratico.
Qualche ora dopo un altro candidato ha votato nella stessa scuola di Gentiloni. Si tratta del neofascista Simone Di Stefano, leader di Casapound. Proprio qualche giorno fa l’Espresso ha spiegato anche il motivo: Di Stefano come molti altri esponenti del movimento di estrema destra hanno la residenza nella vicinissima sede di via Napoleone III. Il problema è che lo stabile è occupato da anni e non si sa perché lo Stato (il proprietario formalmente è il Miur) non lo voglia indietro e continua a fornirgli servizi come la residenza o gli allacci gas, acqua ed energia tramite la municipalizzata Acea che copre perfino i nomi dei titolari dei contratti.
I candidati della sinistra erano l’ex vicepresidente dell’Arci ed esperto di questioni migratorie Filippo Miraglia e l’avvocato e portavoce dei Giuristi Democratici Cesare Antetomaso. Anche per loro all’una di notte non c’era lo straccio di un dato. In buona compagnia coi candidati del resto d’Italia.