«Nella piattezza della pianura anche i mucchi di terra sembrano colline» diceva Marx. Nella assoluta vuotaggine del ceto politico della rottamazione, anche un normale professionista dell’arte di sbrigare la corrente amministrazione assorbe le sembianze dello statista. Con Renzi la gestione del potere ha assunto un volto così dilettantesco che al suo successore basta mostrare un po’ di distacco rispetto alla chiacchiera della comunicazione per conferire al timoniere del governo l’apparenza di un senso dello stato ritrovato.

Il recupero delle reali proporzioni politiche suggerisce però di allontanare devianti illusioni per scorgere nel volto di Gentiloni non già una possibile alternativa in grado di ricomporre l’universo frantumato del centrosinistra ma il notarile gestore di un partito rassegnato all’eutanasia. Con la scelta assurda di imporre attraverso il voto di fiducia una legge elettorale che regala il potere alle destre, Gentiloni ha svelato la sua effettiva levatura strategica. Un debole leader con una preoccupante inclinazione al suicidio politico ha deposto lo scettro sul capo di un Berlusconi che riappare con il tratto inopinato del politico rassicurante.

Questo esitante presidente del consiglio, che accetta la squadra di governo secondo i dettami del giglio magico, che continua nel programma lo spartito del precedente esecutivo, che ordina la ricandidatura della Boschi, è l’espressione di una aggregazione silenziosa che in parlamento ha visto la fusione del Pd con gran parte dei deputati di Scelta civica, e ha realizzato una sintonia profonda tra il Nazareno e le componenti moderate di Forza Italia. Sulle orme di Renzi e Gentiloni è sorto un nuovo grande centro che ripropone gli spettri dell’antico trasformismo parlamentare.

Chi indica Gentiloni come il perfetto erede di se stesso alla conduzione di un nuovo governo di larghe intese, trascura che questa eventualità di riproporlo come cavallo di riserva dopo il voto destinato a un nulla di fatto è distrutta in origine dall’adozione di una legge elettorale che con molta probabilità esprimerà una maggioranza sicura. Dopo l’egemonia della Margherita, al Pd quale creatura ormai post-democristiana resta solo di competere con la Lega per ottenere un posto a tavola con Forza Italia. Declinata del tutto è la sua funzione tradizionale di definire una strategia per disegnare un asse coalizionale di centrosinistra. Arduo è perciò ritrovare questo partito morente come protagonista rilevante della politica dei prossimi mesi.