Della Libia si doveva parlare, perché a fronte dell’allarme dei giorni scorsi il Parlamento non poteva essere lasciato del tutto all’oscuro. Ma della Libia non si può parlare, perché la situazione è tanto incerta quanto in divenire e chi nei giorni scorsi ha tentato di lanciarsi ha combinato solo guai. Dunque il ministro Gentiloni parla di fronte al Parlamento, ma dice il meno possibile. Di incisivo, casomai, c’è solo il gioco d’equilibrismo per evitare le accuse opposte di non volersi esporre abbastanza o di volersi esporre troppo.

«L’Italia è pronta ad assumersi responsabilità di primo piano», tuona il ministro degli esteri. Però attenzione, ciò non significa affatto «essere alla ricerca di avventure militari. Dire che siamo in prima linea contro il terrorismo non è l’annuncio di crociate». Va da sé che il termine non è affatto scelto a caso. Infatti, quando arriva il momento di declinare «l’impegno dell’Italia», Gentiloni cancella ogni allusione all’uso delle armi: «monitoraggio del cessate il fuoco, riabilitazione delle infrastrutture, ripresa del vasto programma di cooperazione sospeso». La missione di san Francesco. Era il mandato assegnato da Renzi a Gentiloni: l’Italia non deve apparire come un Paese che spinge verso la soluzione militare ma, al contrario, come il più pacifico. Tanto poi, se si arriverà a una stretta, non sarà certo il Parlamento italiano a decidere.

Certo, qualche tono allarmato il ministro che tre giorni fa scalpitava per salpare lo mantiene: «Il tempo a disposizione non è infinito e rischia di scadere presto». Il rischio «di saldatura tra i gruppi locali e Daesh (l’Isis)» ci sta tutto. Ma non è il caso di muoversi con precipitazione, tanto meno di assumersi ruoli guida senza che nessuno ce li assegni. I gruppi parlamentari concordano tutti. Di partire per la guerra, stavolta, non ha voglia nessuno. Le critiche al governo, ad esempio quelle di Sel e dell’M5S per le incaute parole dei «ministri marines», o quelle di Fi per il clima di scarsa collaborazione su altri fronti instaurato dal governo muscolare, sono quasi repertorio, tanto per ricordare che sempre di opposizione si tratta. Sul centro della discussione, non ci sono distinguo.

Vaghezza e dunque unanimismo sono conseguenze dirette della scelta, giusta e giustificata, di Renzi: delegare ogni decisione alla comunità internazionale e muoversi solo dietro lo scudo dell’Onu, dunque non solo degli Usa ma anche della Russia. I punti nevralgici, per quanto riguarda lo specifico italiano, sono altri. Uno macroscopico: l’emergenza immigrazione. L’altro di portata minore ma pur sempre di prima grandezza: l’eventuale ruolo di Romano Prodi. Il fronte dell’immigrazione, già bollente, è stato ulteriormente surriscaldato dalle notizie riportate dal Daily Telegraph, secondo cui l’impennata degli sbarchi risponderebbe a una precisa strategia dell’Isis, che mira a infiltrare i suoi uomini nella massa di migranti. In realtà, se strategia del califfo c’è, riguarda più il progetto di destabilizzare l’Europa costringendola a confrontarsi con un esodo che il vecchio continente non è in grado di gestire. La vera «bomba umana» è quella.

Sul fronte migrazione, Gentiloni ha adoperato i toni giusti, senza però accennare a seguiti concreti degli stessi. Ha difeso Mare Nostrum, che in tutta evidenza non era affatto responsabile dell’aumento degli ingressi. Ha ammesso la gravità della situazione, ma ribadendo che «non possiamo voltarci dall’altra parte lasciando i migranti al loro destino: non sarebbe degno dell’umanità e della civiltà che hanno fatto grande l’Italia». Qui l’unanimismo si sgretola. A destra la Lega (ma toni molto simili campeggiano anche in Fi) vuole il blocco navale per fermare gli sbarchi. A sinistra Sel propone più o meno il ripristino di Mare Nostrum. Il M5S svicola affidando tutto al rafforzamento delle misure di sicurezza interne. Il governo si tiene nel mezzo, assicurando fedeltà ai princìpi enunciati da Gentiloni ma senza entrare nel merito di qualsivoglia proposta strategica. Anche questo, in realtà, è tema che riguarda la Ue e non solo l’Italia, ma in questo caso dovrà essere il nostro Paese a imporre che Bruxelles se ne occupi, e al momento della necessaria determinazione non c’è traccia.

Il caso Prodi rischia di trasformarsi in un incidente diplomatico. Maria Teresa Meli, giornalista del Corsera molto informata sui segreti di palazzo Chigi, parla in tv di contatti in corso tra governo e Professore per assegnare a quest’ultimo il ruolo di mediatore nel puzzle impazzito della Libia. L’ex premier ovviamente smentisce. Non potrebbe fare altro, dunque non è che ci sia da dargli troppo credito. Poche ore dopo la ministra della Difesa Pinotti, in un forum di Repubblica Tv, va a un millimetro dall’ammettere la manovra per sostituire l’inviato speciale dell’Onu per la Libia Bernardino Leon con Prodi. Poi si rende conto della gaffe e tenta maldestramente di rimediare con un tweet: «Prodi figura importante ma governo si muove con efficacia e autorevolezza sul piano internazionale». Un salto dalla tragedia internazionale alla pochade nazionale.