Congedato il cancelliere austriaco Kurz, con il quale stamattina avrà un incontro non facile sulla «crisi dei passaporti», per il presidente del Consiglio Conte comincerà l’incontro veramente difficile, quello sulla ricostruzione di Genova. A palazzo Chigi arrivano il presidente della Liguria Toti e il sindaco di Genova Bucci, per continuare sub specie di «concertazione» con gli enti locali quella trattativa tra la Lega e M5S che sta tenendo fermo il decreto denominato «urgenze».

Approvato «salvo intese» giovedì scorso, cioè non approvato nel punto fondamentale della ricostruzione del ponte sul Polcevera, l’atto di legge è la premessa alla scelta – affidata al presidente del Consiglio – del commissario che gestirà tutta la fase dell’assegnazione e dell’esecuzione dei lavori, con poteri più che straordinari. Il nome arriverà entro dieci giorni da quando, finalmente, il decreto urgenze uscirà dalle nebbie per apparire sulla Gazzetta ufficiale, ma è chiaro che l’intesa sulle modalità con la quali dovrà operare il commissario si porterà dietro l’individuazione del profilo più adatto.

All’incontro di oggi il presidente della regione Toti si presenterà con un mezzo passo indietro strategico: ormai è chiaro che non sarà lui il plenipotenziario, ma chiederà di tenere distinte le figure del commissario per l’emergenza, lui stesso, già nominato, e del commissario per la ricostruzione. È qualcosa di più della soluzione salomonica che accontenta tutti, perché attraverso il mantenimento della delega sulle emergenze Toti potrebbe avvicinare un altro po’ il suo obiettivo di tenere Autostrade per l’Italia all’interno del progetto di ricostruzione del ponte. Se poi il nuovo commissario fosse il sindaco Bucci, sostenuto anche lui dal centrodestra con la Lega, l’operazione di accerchiamento del Movimento 5 Stelle potrebbe dirsi riuscita.

Su Genova Salvini ha delegato a Toti la gestione della conflittualità con i grillini, e con lo stesso presidente del Consiglio, per evitare risse dirette tra alleati. E perché è più difficile per il governo dire di no ai rappresentanti del territorio. Di Maio e Toninelli si sono complicati la vita presentando la cacciata di Autostrade come una soluzione non solo moralmente comprensibile, e chi può negarlo, ma anche giuridicamente fattibile, anzi già fatta. Così non è, prova ne sia che Di Maio e il suo ministro delle infrastrutture hanno già dovuto fare diversi passi indietro rispetto agli annunci, cercando di non farsi troppo notare: non si parla più di nazionalizzazione della rete né di revoca immediata della concessione alla società dei Benetton, e nemmeno di far anticipare ad Autostrade le spese per la ricostruzione del ponte. L’ultima mossa che Toti porterà oggi nel corso dell’incontro a palazzo Chigi riguarda la demolizione.

È un dossier al quale il commissario per l’emergenza sta già lavorando assieme alla rimozione dei detriti, «devono procedere contemporaneamente alla ricostruzione», ha ammonito. E spiegato che se lui dovesse lasciare il passo al nuovo commissario ci sarebbero sicuramente dei ritardi. «Bisogna chiarire tutte le macro dinamiche che stanno dietro a chi costruisce il ponte», ha detto ancora il presidente della regione, alludendo al fatto che Autostrade è ancora concessionaria e che in quanto responsabile della struttura è l’unica a cui si può ordinare di rimuovere rapidamente quel che resta del ponte. Ma Toti, oltre a una serie di richieste sugli indennizzi, tenterà anche di giocare all’attacco, riproponendo alla maggioranza di governo, che è divisa tra il no del M5S e il sì della Lega, la questione della Gronda. I lavori dovrebbero cominciare nel 2019, si andrà avanti o no? E chi li deve fare, se non Autostrade?