Il giudice dell’Audiencia Nacional spagnola Pablo Ruz, che ha preso in mano le scottanti indagini di Baltasar Garzón quando questi venne cacciato dalla magistratura nel 2012, ha mandato a processo 11 alti funzionari marocchini (otto militari e tre civili) per genocidio del popolo Saharawi.

Si tratta di una sentenza storica che mette un enorme bastone fra le ruote nella corrispondenza di amorosi sensi (economici) fra la Spagna e il Marocco (le cui case reali sono notoriamente molto intime). Paradossalmente questo accade proprio il giorno in cui l’opinione pubblica spagnola è infuriata per il caso di un alpinista morto lo scorso fine settimana in Marocco. Il decesso è imputabile all’incompetenza della gendarmeria marocchina che dopo aver lasciato all’addiaccio tre alpinisti spagnoli incidentati (dei quali uno morto subito) per ben sei giorni, ha negato il permesso alla Spagna di poterli andare a recupere e, con una manovra impacciata, ha causato la morte di uno dei due sopravvissuti. Con un notevole giro della storia, le famiglie dei tre alpinisti dicono di voler denunciare il Marocco per omicidio colposo e di voler chiedere proprio a Garzón di difenderli.

Ma torniamo all’atto del giudice Ruz. Tutto nasce quando nel 2007 Garzón inizia l’indagine per la denuncia dell’Associazione dei familiari dei prigionieri e dei desaparecidos Saharawi. Tecnicamente, i saharawi sono ancora spagnoli. E questo ha impedito di bloccare l’indagine: nel 2014 il Pp approvò una legge per derogare il principio di “giustizia universale” che dava ai giudici spagnoli facoltà di indagare sui crimini contro l’umanità in tutto il mondo indipendentemente della nazionalità delle vittime. Oggi la legge prevede che, come nel caso del Sahara, la giurisdizione universale si applica solo se le vittime hanno cittadinanza spagnola.

Nel 1975 (con Franco sul letto di morte) l’Onu stabilisce che non c’è nessun vincolo di sovranità per Mauritania o Marocco sul territorio del Sahara Occidentale (allora sotto amministrazione spagnola), e che la Spagna doveva iniziarne la de-conizzazione. Ma subito dopo, la Spagna firma una “dichiarazione di principio” con i due stati nordafricani per coinvolgerli nella gestione di quel territorio (previa consultazione del popolo Saharawi, cosa che, come noto, non è mai avvenuta). Fu così che iniziò un’occupazione militare da parte di Marocco e Mauritania, e quando il Fronte Polisario (che guidava la resistenza armata) firma un accordo per il ritiro della Mauritania, il Marocco annette anche quel territorio. È proprio il genocidio iniziato a partire dal 1975 e fino al 1991 (quando il Fronte Polisario depose le armi) a essere al centro dell’indagine di Ruz, che parla di “un attacco sistematico alla popolazione civile Saharawi da parte delle forze militari e di polizia marocchine” con il fine di “distruggere totalmente o parzialmente” la popolazione autoctona per “impossessarsi del territorio” della ex colonia.

È stata la scoperta di una fossa comune nel 2013 a dare una svolta alle indagini: assieme alle otto vittime, identificate, sono stati trovati documenti spagnoli e apportate testimonianze che hanno raccontato gli orrori di cui sono accusati gli undici funzionari marocchini. Parliamo di governatori, vicegovernatori, ispettori di polizia e militari, per i quali il giudice ha emesso un mandato di cattura internazionale – il che vuol dire che non potranno lasciare il paese.

Ruz, dopo un’ampia introduzione storica, nello storico atto documenta circa 50 casi di assassinio, 200 di detenzione illegale, 20 di tortura. Il Marocco non ha collaborato in nessuna fase dell’indagine e non ha mai risposto alle rogatorie internazionali.

Uno degli accusati, il settantottenne Abdelhafid Benhachem (direttore generale della Sicurezza nazionale dal 1997 al 2003) cadde in disgrazia e venne destituito nel 2008 da un altro incarico, quello di rettore generale dell’amministrazione penitenziaria , per il caso di Daniel Galván, un pederasta spagnolo indultato, nell’indignazione dell’opinione pubblica marocchina e spagnola, dopo un anno di carcere (invece dei 30 che gli erano stati comminati).

Si tratta dell’ultimo atto del giovane e silenzioso Ruz, catapultato al centro della scena dalla clamorosa cacciata di Garzón. In questi anni ha continuato l’indagine contro il finanziamento illegale del Pp, mettendo in evidenza tra l’altro che per più di 20 anni il Pp ha avuto una cassa “segreta”. Ma il governo ha preso misure per bloccare anche lui: ha messo a concorso il posto, nominando un giudice di carriera (Ruz è precario) che prenderà possesso del posto la settimana prossima.