Quando, nel 2018 arrivò alla direzione del Tg2, su twitter qualcuno postò una sua foto di molti anni prima, mentre interveniva accanto a Giorgio Almirante. Un’immagine che lui stesso aveva utilizzato su Facebook con la frase «Credo nelle mie idee». Eppure, all’epoca, si disse che il passaggio da vicedirettore del Tg1 alla guida del telegiornale della seconda rete tv fosse avvenuto all’ombra di Salvini. Ma, del resto, in quel momento «il capitano» pescava a strascico negli ambienti della destra, cresciuti con la fiamma nei palazzi che contano come nelle strade accanto alle tartarughe frecciate di Casa Pound.

Quattro anni più tardi è però d’obbligo constatare che Gennaro Sangiuliano (Napoli, 1962), scelto per guidare il Ministero della Cultura, ha lavorato nel frattempo nell’ottica della «destra plurale», facendo nel Tg2 una sorta di laboratorio della normalizzazione delle idee di un mondo che aveva conquistato il potere e voleva procedere anche alla piena affermazione della propria cultura. Così, ogni sera alle 20,30 accanto ad una linea riconoscibilmente atlantica ma altrettanto attenta ai populismi del momento, da Trump a Le Pen, si è proceduto per tappe ma in modo sistematico allo «sdoganamento» degli autori e dei temi cari alla destra di un tempo: da Mishima agli hobbit passando per la Nouvelle Droite.

Ma Sangiuliano, che malgrado le radici giovanili nell’Msi si presenta come «liberale», incarna anche uno dei possibili approdi della strategia post-postfascista di Meloni: ridefinire sotto l’etichetta di un nuovo conservatorismo le coordinate anche culturali dell’intero campo delle destre: moderate, identitarie, novecentesche. Alla fine di settembre proprio Sangiuliano – giornalista di professione e autore di biografie «storiche», spesso dai toni un tantino apologetici, di, tra gli altri, Trump, Reagan e Putin – ha partecipato alla kermesse «Italian conservatism» organizzata da Nazione futura, associazione vicina a FdI, intervenendo al dibattito «Una nuova egemonia culturale»: quasi un mantra per l’incarico cui era destinato. Se qualcuno riteneva che fosse sui ministeri economici che il nuovo governo avrebbe mostrato la propria determinazione, non ha capito che è sul lungo periodo e attraverso una strategia che vuol lasciare tracce profonde nel Paese che si gioca la scommessa di Meloni.