«Genesi» è un omaggio al pianeta del più importante fotografo del nostro tempo: il brasiliano Sebastião Salgado. Il progetto fotografico di 10 anni, iniziato nel 2003, è un canto d’amore per la terra, antidoto allo smottamento dei tempi e monito alla responsabilità del cambiamento ricominciando dall’inizio, da dove ci siamo allontanati. Raccoglie l’esperienza di un viaggio di 8 anni, alla scoperta della «metà del pianeta che vive nel tempo della Genesi» tra stupefacenti luoghi remoti ai confini del mondo. La mostra nasce dalla collaborazione di Civita Mostre con l’Assessorato alla Cultura e al Turismo del Comune di Napoli, curata dalla moglie Lélia Wanick Salgado su progetto di Contrasto e Amazonas Images, l’agenzia dei Salgado che ha promosso Istituto Terra.
Il progetto ambientale ha come obiettivo il ripristino della foresta della fascia atlantica brasiliana, cui sono destinati gran parte degli introiti provenienti dal lavoro e dalla vendita delle stampe delle collezioni. La mostra di Salgado al Pan, Palazzo Arti Napoli, fino al 28 gennaio, propone più di duecento immagini eccezionali che corredano l’itinerario personale di una geografia dei sentimenti che esprime l’altro modo di stare al mondo, in osmosi con animali e ambiente.
Dopo un periodo di crisi personale Salgado, su consiglio della moglie, sceglie di fotografare il paradiso vissuto cercandolo sulla terra, nelle terre più lontane e incontaminate al confine estremo dove l’essere umano avanza solo decostruendo se stesso, onorato di essere prima di se stesso, animale. «Nei luoghi della genesi» l’arroganza antropocentrica cede il posto all’inesauribile insufficienza, alla natura sconfinata che genera e si rigenera nell’ energia primordiale della creazione, forza creativa autorganizzante, autogenerante e autorinnovante dell’universo. Al principio della luce, dove da una gradazione di grigi sfuma e prende vita e dignità la forma, la realtà si consegna all’artista restituendogli la sua stessa accuratezza, quella che fa cadere il confine tra verità e finzione, tra natura e tecnica, tra realtà e arte, dato che il vero si palesa inverosimilmente perfetto quasi fosse costruito ad arte, e il fine unico coincide con l’origine.
Genesi è suddivisa in cinque sezioni che ripercorrono le terre in cui Salgado ha realizzato le fotografie: il Pianeta Sud, I Santuari della Natura, l’Africa, Il grande Nord, l’Amazzonia e il Pantanàl. Una parte del lavoro è rivolto agli animali impressi nel suo obiettivo attraverso un lungo lavoro di immedesimazione con i loro habitat. Le zebre del Kenya, le tartarughe giganti nelle Galapagos, i leoni marini, gli elefanti della Zambia, le balene franche della Patagonia. Tra una zampa di iguana che ricorda «la mano di un guerriero del Medioevo ricoperto da scaglie metalliche protettive» e gli occhi profondi di scimpanzè che dinanzi l’obiettivo sperimentano l’identificazione totale della loro immagine, lo sguardo di Salgado raggiunge le popolazioni indigene ancora vergini. Il fotografo ha viaggiato e camminato entrando nei loro mondi, nella loro vita quotidiana. Ha avuto modo di esplorare come vivono gli Yanomami e i Cayapó dell’Amazzonia brasiliana; i Pigmei delle foreste equatoriali nel Congo settentrionale; i Boscimani del deserto del Kalahari in Sudafrica; le tribù Himba del deserto della Namibia, i Nenet della Siberia, nei loro stivali di volpe argentati che durano tutta la vita, presso il fiume Op, su «una banchisa bianca delle dimensioni dell’universo», oltrepassando il quale si è nel Circolo polare artico. Lo sguardo di Salgado racconta anche gli Zo’é dell’Amazzonia con quei tubi infilati nel labbro inferiore, «la tribù che vive in un paradiso, dove le donne hanno più mariti esattamente come gli uomini più mogli».
In ogni foto Salgado si pone sullo stesso livello di ciò che fotografa, stabilisce un dialogo con esso o si dilata nella dimensione infinita dello spazio, quasi a voler scomparire nel suo scatto. L’osservatore, rattrappito dalle angustie del presente, può riprendere rifugio nel proprio respiro, ricalcando i passi dell’esploratore rispettoso che percepisce il proprio corpo, attraverso la fotografia, aderire lentamente all’ambiente, nelle sue riserve di gioia .Genesi rappresenta il ri-inizio, dove l’arte e la cultura ristabiliscono il loro senso nel mondo, riscoprendo il rapporto originario con la vita in una cornice planetaria in cui, terra, piante, uomini si legano in una fitta rete d’interdipendenza, in contrapposizione alle «tecnologie della potere» e del possesso. Vivendo attraverso la sua arte, Salgado sceglie di non denunciare ma dichiara una scelta: ampliare lo sguardo e il sentire nella resa visiva della potenza dell’origine, sconfessando i rischi escatologici, esortando a ritrovare, come egli stesso dice in un’ intervista, forza nell’origine: «l’umanità delle origini è molto forte, particolarmente ricca di qualcosa che poi abbiamo perso diventando urbani».