Autore di due romanzi, due raccolte di racconti e alcuni saggi tra i quali spicca lo squisito Caminante: flâneurs, paseantes, vagabundos, peregrinos (Ediciones Godot, 2017), l’argentino Edgardo Scott è ancora poco noto in Italia: un vero peccato, perché la sua esigente ricerca formale, legata a un’identità di lettore quanto mai colto e attento, ma anche a uno sguardo acuto e spesso polemico sui fenomeni sociali e la politica, propone percorsi stimolanti a chi non si avvicina alla letteratura solo attraverso il presunto canone stabilito dal mercato.

LA BELLA TRADUZIONE del secondo romanzo di Scott da parte di Alessandro Gianetti, pubblicata da Arkadia (Lutto, pp. 160, euro 14) e l’incontro previsto per lunedì 6 dicembre a Più libri più liberi (ore 11, Sala Giove) sono perciò l’occasione per conoscere da vicino un autore che è anche uno psicoanalista di formazione lacaniana, e in quanto tale ci rimanda a una sorta di tradizione argentina sulla pratica parallela della letteratura e della psicoanalisi da parte di scrittori e poeti tra i quali è d’obbligo citare Luis Gusmán (presente non a caso nell’epigrafie di Lutto), Germán García, Osvaldo Lamborghini e altri ancora.
Il paesaggio del romanzo (non un semplice fondale ma quasi un co-protagonista) è quello dello sterminato Conurbano bonaerense, dove l’autore è nato nel 1978 e dove trascorre l’intera vita di Alberto detto Chiche, proprietario di un negozio di elettrodomestici che un giorno viene assaltato e svaligiato da rapinatori armati. Chiche non esita a sparare, e nell’imprevisto scontro a fuoco muoiono sua moglie e uno dei banditi, trasformando il protagonista in un uomo solo che si rifugia nella rassicurante monotonia di abitudini immutabili. Chiche brucia la spazzatura ogni sabato, va al cimitero tutti i mesi, cresce come può la figlia adolescente, a scadenze regolari affitta film in videocassetta e commenta i fatti di cronaca con un amico, si trova un’amante da incontrare una volta alla settimana: un’esistenza racchiusa in un’orizzonte limitatissimo – la casa, il negozio, poche strade – e nel recinto di crescenti ossessioni, come quella per los negros (il termine, reso dal traduttore con «zingari», non indica il colore della pelle ma la marginalità sottoproletaria) che vivono nel miserabile quartiere abusivo oltre la ferrovia.

DIETRO I GESTI RIPETUTI all’infinito si nasconde, però, una corrente sotterranea che finirà per spezzare il cerchio del lutto mai elaborato, suggellando l’andamento circolare di un romanzo in cui forma e contenuto appaiono in perfetta sintonia e inducono a pensare alle considerazioni di Ricardo Piglia sull’esistenza, in seno al romanzo breve, di uno spazio vuoto, un segreto che agisce in permanenza sulla trama e impone al lettore non tanto di interpretare, quanto di narrare ciò che volutamente manca. Proprio questo fa Scott, aprendo e chiudendo il romanzo con due scene drammatiche e violente tra le quali si dipanano sessantatré capitoli brevi e brevissimi dai titoli sempre uguali, che rimandano a una routine in apparenza priva di eventi e al lento scorrere delle stagioni e degli anni.
Sono i frammenti del quotidiano, i dettagli minimi registrati da una distaccata e concisa voce narrante, a disegnare il percorso quasi inconsapevole di Chiche verso un finale della cui ineluttabilità ci si rende conto solo alla fine, quando potremo tirare le fila del non detto e renderci conto di come l’autore sia riuscito a mostrarci, con magistrale reticenza, la genesi dell’oscurità che invade a poco a poco un uomo qualunque.

SE NEL SUO PRIMO ROMANZO (El exceso, del 2012) l’autore aveva elaborato un ritratto corale della società argentina negli anni ’90, sospinta verso la catastrofe dal neoliberismo estremo della presidenza di Carlos Menem, qui si rifà allo stesso periodo – non ancora Storia, ma passato prossimo le cui tracce sono ancora percepibili – attraverso la vicenda di un singolo individuo agito da forze arcaiche (l’idea di virilità e di coraggio, il bisogno di vendetta) e allo stesso tempo modellato dalla paura dell’altro e dal bisogno di sicurezza, furiosamente dilatati da media e politica fino ad armare la mano della gente «perbene» e a trasformarla nei mostri della porta accanto.