Diamo per scontato, e non lo è, che fra due o trecento anni ci siano sulla Terra degli umani che abbiano il tempo e la voglia e i mezzi per studiare e riflettere sulla loro (nostra) storia: come ci osserveranno? Quali tratti di questi primi decenni del nuovo (per noi) millennio li colpiranno di più? Non lo sappiamo: le prospettive cambiano e quello che oggi ci appare grande e importante tra un paio di secoli potrebbe essere giudicato irrilevante – e viceversa.
Così, non possiamo escludere che in futuro, guardando indietro alla nostra epoca, si metta in evidenza, fra tanti altri avvenimenti in fondo ricorrenti (guerre, malattie, scoperte), la fine della scrittura. Ma come? Non scriviamo forse tutto il tempo? Il flusso continuo di messaggi e messaggini non è la dimostrazione che l’analfabetismo è stato definitivamente sconfitto? Vero, e in effetti osservando su un qualsiasi mezzo pubblico i passeggeri picchiettare allegramente sulle loro tastierine, sembra incredibile che solo cento anni fa un italiano su tre non fosse in grado neanche di apporre la propria firma su un documento.

Eppure, proprio a proposito di firme, è lecito avere qualche dubbio: siamo ancora in grado di dare forma a quello che tuttora è – anche sul piano amministrativo – l’emblema della nostra identità individuale? Ne scrive sull’Atlantic Drew Gilpin Faust, storica statunitense famosa non solo per i suoi studi sulla guerra civile americana, ma anche per essere stata la prima donna a ricoprire la carica di rettore dell’università di Harvard. Il titolo dell’intervento è fattuale, poco enfatico: «La generazione Z non ha mai imparato a leggere il corsivo» – uno di quei titoli, diciamo la verità, per i quali si rimpiange la gloriosa rubrica «E chi se ne frega» che usciva sul «Cuore», supplemento dell’Unità, negli anni Novanta. (Altri tempi, detto per inciso).

Ma la sostanza dell’articolo tocca un fenomeno cui tutti stiamo assistendo e di cui siamo partecipi: la scrittura a mano sta scomparendo e in particolare l’uso del corsivo, appreso con fatica alle elementari, tende man mano a calare fino a scomparire in età adulta, soppiantato da faticosi scarabocchi a stampatello, o più di frequente dalla scrittura su tastiera – anche per quanto riguarda la stessa firma, ormai «remota» o «digitale». E non si tratta solo di quella che i media ci hanno abituato colpevolmente a definire «generazione Z» (lasciando intendere, con quella lettera finale dell’alfabeto, che dopo di loro non ci sarà più niente), ma anche di persone con i capelli bianchi che hanno perfino dimenticato come si tiene in mano una penna.

Quanto agli Stati Uniti, ricorda Gilpin Faust, il corsivo è stato deliberatamente «ucciso» nel 2010 con una sorta di indicazione programmatica, i Common Core State Standards, in base alla quale non è necessario che «i bambini imparino a scrivere in corsivo», mentre «entro la fine della quarta elementare devono dimostrare di avere una padronanza sufficiente delle abilità di tastiera per scrivere almeno una pagina in una sola seduta».
Da studiosa, Gilpin Faust mette in rilievo come l’ignoranza del corsivo impedirà alle generazioni future di leggere i documenti che accompagnano da secoli la nostra storia, la nostra letteratura, ma avverte che «non solo gli studenti e gli accademici ne saranno colpiti: l’incapacità di leggere la scrittura a mano priva la società di un accesso diretto al proprio passato… Perdere questa connessione è anche perdere potere sulla nostra vita».