Un cammino virtuoso interrotto ormai da troppo tempo. Generali, la principale compagnia assicurativa italiana con i suoi 70,7 miliardi di euro di premi lordi raccolti e 664 miliardi di asset gestiti lo scorso anno, nel 2018 aveva compiuto dei passi significativi nel cessare il suo sostegno al comparto del carbone, il più inquinante dei combustibili fossili. L’obiettivo fissato era di disinvestire gradualmente circa 2 miliardi di euro di asset carboniferi e l’esclusione di coperture assicurative per nuovi clienti del settore, nonché per la costruzione di nuove miniere e centrali. Poi più nulla, come denunciano Greenpeace Italia e Re:Common nel loro rapporto Cambiamento climatico assicurato, lanciato proprio in questi giorni.

IL LEONE DI TRIESTE PUO’ ANCORA CONTARE su investimenti per 203 milioni di euro nella polvere nera, e non sembra voler mollare la presa sull’Est Europa, segnatamente in Polonia e Repubblica Ceca. Generali ha infatti etichettato questi due paesi, tra i maggiori utilizzatori di carbone in Europa, come «eccezioni» rispetto alla propria policy del 2018. Grazie a questo escamotage, ancora oggi intrattiene rapporti, ad esempio, con la polacca Pge e la ceca Cez, aziende controllate dallo Stato che hanno tra i più alti livelli di emissioni di gas serra in Europa. In occasione dell’assemblea degli azionisti del 2019, Generali si è addirittura spinta a esprimere soddisfazione per il dialogo instaurato con alcuni clienti in merito alla loro azione climatica, tra cui proprio Pge e Cez.

PGE E’ LA PIU’ IMPORTANTE SOCIETA’ energetica della Polonia. Nel 2019 la sua produzione energetica è dipesa dal carbone per il 91%. È la cartina di tornasole delle scarse ambizioni del governo di Varsavia in materia climatica. Non a caso la Polonia ha superato per la prima volta la Germania nel triste primato di elettricità prodotta dal carbone, una quantità superiore alla somma di tutti gli altri Paesi dell’Unione europea meno la stessa Germania. Il recente aggiornamento della strategia energetica del Paese è alquanto esplicativo: uso del gas fossile per la «transizione» e carbone che, con percentuali molto alte, continuerà a fare la voce grossa anche dopo il 2040, in aperto contrasto con quanto richiede la scienza per contrastare l’emergenza climatica.

INOLTRE PGE SI TROVA AL CENTRO di vari contenziosi, come la causa mossa da ClientEarth per la centrale di Bełchatów, ritenuta la più inquinante d’Europa e le cui emissioni, già nel 2016, si stima fossero responsabili di 489 morti premature e 205 casi di bronchite asmatica, con costi per la salute stimati intorno al miliardo di euro.

A BREVE SI APRIRA’ IL CONTENZIOSO legale con Greenpeace Polonia, che ha deciso di portare Pge in tribunale dopo aver considerato fallimentari i suoi impegni volti a mitigare gli impatti su persone, ambiente e clima. Per finire, c’è l’azione portata avanti dalla Repubblica Ceca presso la Corte europea di Giustizia, a causa degli impatti sull’aria e sulle falde acquifere della miniera di Turów, che sorge in un’area al confine tra i due Paesi. Singolare come la Repubblica Ceca protesti giustamente per Turów mentre valuta di puntare ancora sul carbone fino al 2038.

IN TERRITORIO CECO SORGE L’IMPIANTO di Pocerady, tra le trenta centrali più inquinanti d’Europa, responsabile nel solo 2016 di 148 morti premature. Fino alla fine del 2020 è stato assicurato da Generali, che nel frattempo «intrattiene rapporti» con le Cez (39% di energia elettrica prodotta ancora dalla polvere nera) e non smentisce le relazioni con un’altra società ceca, la Eph, seppure ben consapevole che la società ceca sia proprietaria – tra le altre – della centrale a carbone di Fiume Santo, in Sardegna, una delle principali cause di inquinamento nel nord dell’isola. Un’altra pericolosa «eccezione» rispetto all’azione climatica del Leone di Trieste?