Si riapre la partita per Assicurazioni Generali, crescono le attenzioni per il futuro di Mediobanca, che del Leone di Trieste è il primo azionista. La notizia, rivelata ieri dal quotidiano La Repubblica, è che la Delfin, finanziaria della famiglia Del Vecchio, è stata autorizzata dall’Ivass (Istituto per la Vigilanza sulle Assicurazioni) a superare la soglia del 10% del capitale della storica compagnia triestina, con l’opzione di arrivare fino al 20% senza ulteriori permessi. Il via libera sarebbe arrivato venerdì scorso, in risposta ad una richiesta della società finanziaria di due mesi prima.

L’antefatto è che lo sforamento del 10% c’era già stato prima che Delfin presentasse formale istanza all’autorità di vigilanza. «La richiesta all’Ivass del 17 aprile 2023, al fine di poter esercitare diritti di voto per più del 10% in Generali, si è resa necessaria – ai sensi di legge – in conseguenza del piano di acquisto di azioni proprie avviato da Assicurazioni Generali nell’agosto del 2022», si legge nella nota diramata dalla holding nella giornata di ieri. La conclusione è che si è trattato di uno «sforamento involontario» e che «la richiesta all’Autorità non sottintende alcuna particolare strategia». In realtà, Delfin poteva optare anche per la vendita di parte delle sue azioni, sì da scendere di nuovo sotto il 10%. Non l’ha fatto e anzi ha rilanciato, aprendosi la strada verso una possibile scalata del gruppo. Un obiettivo che Leonardo Del Vecchio, scomparso l’anno scorso, caldeggiava già dal 2021.

Tanto interesse per Generali è facile da spiegare. Parliamo della prima compagnia assicurativa italiana, con una cassaforte di 631 miliardi di euro, dei quali, ben 42, sono titoli di stato. Chi controlla Generali, insomma, ha un posto d’onore alla mensa della finanza italiana. Non è secondario, d’altra parte, che il maggiore azionista della compagnia sia la banca d’affari fondata da Enrico Cuccia e Raffaele Mattioli. Mediobanca, che era stata in grado di resistere all’assalto del trio Caltagirone, Del Vecchio, Benetton un anno fa, quando in gioco c’era la guida del gruppo assicurativo (fu confermato come amministratore delegato Philippe Donnet). Decisivo, in quella occasione, un prestito titoli, da parte di investitori internazionali, che portò il suo capitale dal 13,1 ad oltre il 17% (gli investitori istituzionali, la cui quota è pari al 45%, vedono in cima gli «americani» con il 36%).

Ora però la roulette ha ricominciato a girare. Una partita incrociata: da un lato gli equilibri in Generali che potrebbero cambiare, dall’altra la prossima assemblea di Mediobanca, prevista ad ottobre. Delfin, e Caltagirone, che proprio su Piazzetta Cuccia ha puntato le sue fiches (la sua quota è ora al 9,9%), utilizzando i dividendi ed i proventi della vendita, giustappunto, di azioni Generali (occhi puntati anche su Benetton col suo 5% e sulla new entry Danilo Iervolino, patron della Salernitana).

Sullo sfondo, una partita «politica» da non sottovalutare. Gli «italiani», con Caltagirone in testa, premono per una norma che vieti l’utilizzo nelle votazioni dei titoli presi in prestito (ciò che è accaduto con l’elezione di Donnet). Una battaglia «sovranista», che potrebbe incontrare la sensibilità del governo Meloni. Si vedrà. Intanto, la Borsa di Milano, spinta proprio dal rally di Generali (+3,49%), chiude il semestre col botto, portandosi ai livelli pre-Lehman Brothers. Hyman Minsky avrebbe parlato di «capitalismo dei gestori di denaro» (Money manager capitalism), sempre più avulso dalla produzione di «valori d’uso», fonte di instabilità e di crescenti diseguaglianze sociali.