Il «confronto» Gelmini-Ronzulli? Ci mancherebbe che in un «grande partito» non volassero sberle del genere! «Il confronto è fisiologico, mica siamo di plastica, ma poi è giusto fare sintesi, arrivare a un punto d’incontro. Comunque sostituire un coordinatore regionale non vuol dire cambiare la linea»: Antonio Tajani, presentando la kermesse azzurra di fine settimana a Napoli, fa il pompiere. La ministra Gelmini strepita per la sostituzione del “suo” Salini con l’arcinemica Licia Ronzulli alla guida del partito lombardo? Il giro stretto del reggente Tajani fa notare che in Lombardia, cuore del forzismo, le decisioni non le prendono i coordinatori ma sempre e solo il Cavaliere.

È stato il gran capo a silurare Massimiliano Salini e a lui si rimettono un po’ tutti. Gasparri rispolvera un amato slogan, vecchio di un secolo o giù di lì, «Berlusconi ha ragione a prescindere»: non è il primo ad avere «sempre ragione». Il sottosegretario Sisto la vede allo stesso modo: «Qui c’è qualcuno che le fibrillazioni è in grado di sedarle tutte. È il metronomo di questo partito e non sbaglia un colpo: Berlusconi». Risalta il silenzio di chi dovrebbe concordare con la Maria Stella furiosa, come la collega Mara Carfagna. Tace perché, fanno sapere i suoi, «è stanca».

La ministra per gli Affari regionali rilancia: «Qui c’è un problema politico da chiarire. Questo è l’ennesimo attacco ai moderati di Fi». Un po’ c’è davvero questo, anche se la definizione «moderati» andrebbe sostituita con quella più consona di «governisti». La tensione tra il partito e la delegazione al governo non si è mai sopita. A ottobre aveva toccato una vetta con lo scontro sulla nomina di Paolo Barelli a capo dei deputati, poi è arrivata anche oltre. I ministri hanno preso malissimo la decisione del Cavaliere di impuntarsi sulla delega fiscale in nome dell’eterna guerra santa contro «le tasse sulla casa».

Non gradiscono oggi il nuovo fronte aperto sui balneari. Insomma non sono convinti che Berlusconi non sbagli mai e dietro l’errore, come da sempiterno copione, ci sono consigli sbagliati e consiglieri interessati. C’è il «cerchio magico» di cui proprio Ronzulli è l’anello centrale, anche se Sisto nega con la dovuta veemenza e il più orrido tra i neologismi: «Berlusconi non si fa cerchiomagicizzare da nessuno».

La linea politica, la divaricazione effettivamente fisiologica tra i ministri e il partito, sarebbe in effetti resolubile. Ad attizzare le fiamme sono però questioni meno elevate: le urne si avvicinano, le rielezioni sono a massimo rischio. È vero, come segnala Tajani, che le percentuali stando ai sondaggi stanno salendo e che Fi è essenziale per il centrodestra. Ma non arriveranno certo al livello del 2018, già modesto rispetto al passato, e il taglio dei parlamentari farà il resto. Da questo punto di vista la defenestrazione del fedelissimo di Gelmini è per lei un pessimo segnale.

Oggi la ministra può contare su una trentina di parlamentari, essenziali per mantenere le posizioni all’interno di un partito in cui la guerra, soprattutto tra le dirigenti, è spietata. Più inciderà sulle candidature blindate l’astro Ronzulli, meno resterà di quella truppa. Ma la mannaia è sospesa su tutti: si spiega così il silenzio, anche nelle chat interne, che circonda l’affondo, conseguenza del resto di uno sfogo di Gelmini con Tajani che avrebbe dovuto restare privato ed è incappato invece nelle orecchie indiscrete di un giornalista. La pace non può tornare. Ma a Napoli, con Berlusconi presente e una folla da grandi occasioni, si dovrà almeno fingere di volersi bene.