Ripresa dei bombardamenti su Gaza e dei lanci di razzi o prolungamento della tregua umanitaria che scade questa mattina alle 8 locali? Non era chiaro ieri sera mentre chiudevano questo numero del nostro giornale. Dal tavolo delle trattative indirette in corso al Cairo, per tutto il giorno sono arrivati segnali negativi per il raggiungimento di un accordo di cessate il fuoco permanente. Israele ed Egitto continuano a respingere le richieste presentate dalla delegazione palestinese, che include rappresentanti di primo piano di Hamas e Jihad. E la delegazione israeliana ritornata ieri sera al Cairo non aveva portato ai mediatori egiziani novità di rilievo.

 

Il governo israeliano ha dato già mercoledì sera il suo via libera all’estensione incondizionata della tregua per altre 48-72 ore, allo scopo evidente di mettere sotto pressione i palestinesi. Il governo Netanyahu e i comandi militari israeliani ritengono di aver inflitto un duro colpo ad Hamas e al suo braccio armato con l’operazione “Margine Protettivo”. Per loro chiudere la crisi con un cessate il fuoco illimitato e incondizionato vorrebbe dire completare il risultato ottenuto e placare le polemiche sollevate dai tanti israeliani che non volevano l’interruzione degli attacchi devastanti contro Gaza. Una linea dettata anche dalla impossibilità per Israele di raggiungere il suo primo obiettivo dichiarato, ossia il disarmo del movimento islamico. Il governo Netanyahu ora sembra “accontentarsi” di un accordo con gli alleati egiziani che impedisca il riarmo di Hamas.

 

Ai palestinesi un’intesa solo per un cessate il fuoco non serve. La resistenza a oltre tre settimane di bombe e cannonate mostrata dalla popolazione ha confermato la volontà di tutti i palestinesi di Gaza di raggiungere la libertà. Al Cairo i delegati di Hamas, Fatah e delle altre formazioni politiche e militari, ieri sera insistevano per la revoca totale del blocco di Gaza e per la costruzione di un porto marittimo e la ricostruzione dell’aeroporto di Rafah. Stando alle indiscrezioni Israele, che da decenni attua un rigido blocco navale e controlla lo spazio aereo dei Territori palestinesi occupati, non avrebbe neppure preso in considerazione queste richieste. Da parte loro gli egiziani, alleati di Tel Aviv, giocano a guadagnare tempo. Affermano che queste richieste palestinesi, come quella della smilitarizzazione di Gaza fatta da Israele, dovrebbero essere discusse nel quadro di un accordo più ampio e non come parte di un cessate il fuoco. E puntano sulle questioni umanitarie, come il trasferimento dei feriti palestinesi più gravi dalla Striscia nei Paesi della regione che si sono detti disposti a curarli. Intanto torrna in primo piano la questione dei prigionieri politici palestinesi. Secondo il giornale egiziano al Ahram, vicino al governo, Israele sarebbe disposto a liberare la sessantina di ex detenuti palestinesi (scarcerati nel 2011 nello scambio Israele-Hamas per il soldato Gilad Shalit) riarrestati a giugno dopo la scomparsa dei tre adolescenti israeliani ritrovati uccisi in Cisgiordania.

 

I palestinesi sono consapevoli che accettare ora una tregua umanitaria incondizionata e decidere il futuro di Gaza con negoziati successivi vorrebbe dire lasciare la Striscia nella stessa condizione, come è avvenuto dopo le altre due offensive militari israeliane, nel 2008-9 e nel 2012. Hamas e le altre formazioni armate perciò giocano la carta rischiosa ma concreta di una possibile ripresa del conflitto con Israele alla scadenza della tregua questa mattina. E auspivano che altre parti internazionali, a cominciare dall’Europa, facciano il possibile per scuotere israeliani ed egiziani, a partire dalla questione della piena riapertura di Rafah. «La guerra non è finita. Stiamo sottolineando che le richieste del popolo palestinese sono legittime», ha detto il portavoce di Hamas Mushir al-Masri durante la manifestazione a sostegno della resistenza armata palestinese che si è svolta ieri a Gaza. Da parte sua Musa Abu Marzouq, numero 2 dell’Ufficio politico del movimento islamico, ha ribadito che il disarmo è impossibile in quanto «l’esercito della resistenza è la sola garanzia per qualsiasi accordo». Hamas sa di godere sempre di ampio appoggio popolare a Gaza. I palestinesi della Striscia puntano l’indice contro Israele per le stragi di civili viste il mese scorso e non contro i combattenti delle “Brigate Ezzedin al Qassam”, il braccio armato del movimento islamico, che hanno accresciuto la loro popolarità.

 

Al contrario di ciò che scrivono alcuni giornali in Italia e in Europa, Hamas non si è indebolito. Ha subito colpi duri ma la sua struttura politica e militare è operativa, come sanno bene i vertici politici e militari israeliani. E grazie alla capacità di combattimento mostrata dall’ala armata, il suo prestigio è cresciuto ulteriormente anche in Cisgiordania a danno di un presidente Abu Mazen che ha aspettato diversi giorni prima di adottare una linea a sostegno di Gaza sotto attacco e ha anche usato le sue forze di sicurezza per contenere le proteste contro i bombardamenti israeliani. Agli occhi di non pochi palestinesi quanto si è visto il mese scorso dice che la strategia della lotta armata scelta da Hamas potrebbe ottenere di più da Israele rispetto alla linea “pacifista” e priva, almeno sino ad oggi, di risultati concreti portata avanti da Abu Mazen, peraltro regolarmente boicottato e attaccato da Netanyahu e i suoi ministri.