L’escalation in corso lungo le linee tra Gaza e Israele rischia di sfociare in un’ampia offensiva militare israeliana. Inutili almeno fino a ieri sera sono stati gli interventi dell’Egitto e delle Nazioni unite per porre fine ai raid aerei e ai bombardamenti israeliani su Gaza che hanno ucciso tre civili – Emad Nsair, 22 anni, una bimba di appena 14 mesi, Seba Abu Arrar, e sua madre Filastin Abu Arrar, 39 anni (incinta) – e fatto una ventina di feriti tra i quali alcuni bambini. Morti che si aggiungono ai quattro di venerdì: due militanti di Hamas e due civili feriti mortalmente durante le proteste della Grande Marcia del Ritorno. Le formazioni armate palestinesi da parte loro hanno lanciato verso il sud di Israele 150 fra razzi e colpi di mortaio ferendo due persone: una donna (è grave) a Kiryat Gat e un uomo ad Ashkelon. I razzi hanno danneggiato alcune case. Cosa avverrà nelle prossime ore deciderà il destino di Gaza, sotto blocco israeliano dal 2007, da quando il movimento islamico Hamas ne ha preso il controllo, e che ha già subito negli ultimi dieci anni tre grandi offensive militari e svariate altre di entità minore.

Qualcuno commentava ieri che di queste “fiammate di tensione” ormai se ne contano a decine. Più volte nell’ultimo anno e mezzo si è rischiata la guerra ma alla fine si è sempre giunti a un cessate il fuoco, poiché entrambe le parti non sono o non sarebbero interessate ad un conflitto aperto. È una lettura limitata. La storia di Gaza di questi ultimi anni dimostra che le guerre più distruttive spesso sono cominciate in seguito a fatti apparentemente poco gravi. Ad alcuni forse appaiono scaramucce il bombardamento israeliano, venerdì, di una postazione di Hamas in cui sono rimasti uccisi due palestinesi e il ferimento di due soldati. E altri ancora considerano routine la morte di due palestinesi colpiti dagli spari dei cecchini israeliani durante le manifestazioni della Grande Marcia del Ritorno a ridosso delle barriere di demarcazione tra Gaza e Israele. Invece quanto è accaduto, con la perdita di altre vite umane, ha avuto un forte impatto a Gaza dove tra i due milioni di abitanti cresce l’esasperazione per il blocco, per il peggioramento delle condizioni di vita e per il negoziato infinito che va avanti senza risultati tra Israele e Hamas, mediato dall’Egitto, per una tregua a lungo termine.

Secondo Israele a guidare le operazioni armate palestinesi sarebbero le Brigate al Quds, l’ala militare del Jihad islamico, e non Hamas. In effetti la settimana passata il Jihad aveva sparato un razzo verso il sud di Israele e venerdì con ogni probabilità un suo cecchino ha ferito i due soldati israeliani. Il Jihad inoltre si starebbe impegnando per riattivare alcune gallerie sotterranee che sbucano in Israele (ieri è stato fatto saltare un tunnel). A Gaza qualcuno sussurra che il Jihad, storicamente legato all’Iran, terrebbe alta la tensione alla porta meridionale di Israele, in sostegno a Tehran colpita da pesanti sanzioni economiche americane chieste con forza e ottenute dal premier israeliano Netanyahu. Con un video diffuso in rete, che mostrava una rampa di lancio pronta a sparare razzi, le Brigate al Quds ieri hanno avvertito di essere pronte a colpire l’aeroporto Ben Gurion, le raffinerie di Haifa, la centrale nucleare di Dimona e di essere in grado impedire anche lo svolgimento dell’Eurovision 2019, la gara musicale in programma tra il 14 e il 18 maggio a Tel Aviv alla quale Israele sta dedicando un’attenzione con pochi precedenti per evidenti ragione d’immagine (i palestinesi chiedono ad alcuni artisti internazionali il boicottaggio dell’Eurovision).

Malgrado il protagonismo del Jihad, i comandi militari israeliani venerdì hanno ordinato di colpire una postazione di Hamas, trascinando il principale movimento islamico nella escalation in atto. A questo punto non è chiaro se Israele lascerà transitare per le banche di Gaza i 30 milioni di dollari donati dal Qatar e destinati in gran parte a sostegno degli impiegati ministeriali di Hamas senza stipendio da mesi. Fondi particolarmente importanti per l’inizio, oggi o domani, del mese islamico di Ramadan.