Pagati per morire. Ecco come il coro delle agenzie di stampa italiane descriveva ‎ieri i palestinesi di Gaza che a migliaia affolleranno anche oggi la fascia orientale ‎della Striscia a ridosso delle linee di demarcazione con Israele. Pagati per morire ‎dal movimento islamico Hamas che ha annunciato risarcimenti per le famiglie ‎delle vittime del fuoco dei tiratori scelti israeliani che una settimana fa ha fatto ‎morti e feriti tra i manifestanti palestinesi giunti sotto le barriere di confine ‎durante la “Marcia del Ritorno”. I familiari dei morti riceveranno 3mila dollari, i ‎feriti 500 dollari. Per le nostre agenzie quei soldi ‎«potrebbero costituire‎» un ‎incentivo alla violenza per gli abitanti di Gaza. Come se tremila dollari fossero una ‎buona ragione per farsi ammazzare e 500 dollari un motivo valido per farsi ferire e ‎rischiare una disabilità grave e permanente. Solo un profondo disprezzo dei ‎palestinesi può far scrivere cose del genere che riflettono unicamente la posizione ‎di Israele: la “Marcia del Ritorno” altro non è che un piano orchestrato da Hamas ‎per lanciare attacchi terroristici contro lo Stato ebraico

‎«Nessuno sforzo propagandistico al mondo, per quanto bieco o ingegnoso – ha ‎scritto lo scrittore palestinese Ahmed Masoud su Ceasefire Magazine – ‎riuscirebbe a far marciare volontariamente migliaia di persone verso il confine ‎della loro prigione a cielo aperto, sapendo benissimo che ci sono centinaia di ‎soldati senza scrupoli che aspettano dall’altra parte, pronti a premere il grilletto in ‎qualsiasi momento‎». Questo, aggiunge Masoud, ‎«è tipico dei colonizzatori. Dalla ‎Marcia del Sale di Gandhi, alla Marcia ‎su Washington di Martin Luther King, ‎siamo stati tutti definiti ‘i barbari ignoranti’ che ‎cercano di destabilizzare lo status ‎quo di libertà e democrazia‎».‎

‎ I palestinesi ricordano che non solo Hamas ma tutte le forze politiche, e la ‎stessa Anp del presidente Abu Mazen, prevedono programmi di assistenza alle ‎famiglie di persone morte o rimaste ferite nel conflitto. ‎«Non si tratta di incentivi ‎al terrorismo come sostiene Israele bensì di forme di aiuto alle famiglie delle ‎vittime, che, è bene sottolinearlo, il più delle volte non erano combattenti ma ‎semplici civili. I figli rimasti senza il padre o una moglie senza marito e priva di ‎reddito non potrebbero vivere senza un sussidio. Accade in tutte le guerre e in tutti ‎i conflitti, noi non siamo diversi dagli altri», dice al manifesto il giornalista Saud ‎Abu Ramadan, aggiungendo che ‎«in Occidente si stenta sempre più a riconoscere ‎che i palestinesi di Gaza hanno il diritto di vivere liberi e non in una grande ‎prigione gestita da Israele». Un “carcere”, aggiungiamo noi, dove le condizioni di ‎vita per i due milioni di abitanti si sono fatte insostenibili. A dirlo sono le ‎statistiche dell’Onu. ‎

Oggi saranno altre decine di migliaia palestinesi – qualcuno dice almeno ‎‎50mila – ad affollare i cinque accampamenti eretti a 700 metri dalle barriere con ‎Israele per chiedere la fine dell’assedio che strangola Gaza. Il rischio di un altro ‎bagno di sangue è altissimo. ‎«Se ci saranno provocazioni, ci sarà una reazione del ‎tipo più duro, esattamente come la scorsa settimana‎», ripete il ministro della difesa ‎israeliano, Avigdor Lieberman, per far capire che sul confine saranno schierati ‎ancora una volta i tiratori scelti dell’esercito. Per ostacolarli i palestinesi ‎bruceranno cataste di vecchi pneumatici in modo da alzare nuvole di fumo denso. ‎Ieri è spirato un palestinese ferito gravemente venerdì scorso. Un altro è stato ‎ucciso da un drone sulle barriere di confine. Sono 21 negli ultimi giorni.‎