Che l’Egitto militarizzato del neo-eletto presidente Abdel Fattah al-Sisi marci sull’orlo dell’isolamento in politica estera è chiaro dal giorno del colpo di Stato militare dell’estate 2013. E così, le vecchie logiche del Partito nazionale democratico di Hosni Mubarak, portate all’estremo, soprattutto in tema di conflitto israelo-palestinese, potrebbero trasformarsi in un boomerang per l’ex generale.
Ne è una prova il tentativo di mediazione per il cessate il fuoco a Gaza, che include l’appello alla riapertura di tutti i confini per il passaggio di beni e persone, senza fare riferimento al valico di Rafah, chiuso con momentanee aperture per il trasferimento in Egitto dei feriti gravi. Non è servito a molto l’appoggio di Lega araba e del presidente dell’Autorità nazionale palestinese (Anp), Mahmoud Abbas, atteso domani al Cairo, al tentativo dell’Intelligence militare egiziana, accolto immediatamente da Tel Aviv. L’iniziativa si è mostrata debole sin dalle prime ore dopo il suo annuncio nella serata di lunedì.
Che non sia mai stata una proposta credibile si è evinto subito dal dietrofront del Segretario di Stato Usa, John Kerry che non ha fatto visita al Cairo ieri, come annunciato. E quindi la stampa egiziana indipendente ha iniziato a criticare le strategie della diplomazia egiziana. Il cessate il fuoco è stato rappresentato come una «proposta unilaterale» per la fine dei combattimenti, discussa solo tra esercito egiziano e israeliano senza la consultazione del movimento palestinese Hamas.
L’eccessivo uso della retorica dello stato contro i terroristi, abusata a profusione da Sisi dopo il golpe del 2013, ha reso la mediazione del Cairo nel conflitto di Gaza meno credibile di un tempo. Per l’esercito israeliano, come scrive la stampa conservatrice, Hamas è un movimento terroristico, alla stessa stregua della Fratellanza, coinvolto nella destabilizzazione del Sinai. E così i leader del movimento palestinese hanno assicurato di non essere stati consultati per la messa a punto del cessate il fuoco, come confermato dal portavoce di Hamas al Cairo, Moussa Abou Marzouk.
Non stupisce poi lo scetticismo con cui il movimento abbia accolto la mediazione unilaterale egiziana. «Un tentativo per distruggerci», l’ha bollata subito il portavoce di Hamas, Fawzi Barhoum.
Eppure, sebbene la televisione pubblica egiziana, abbia lesinato molto nel mostrare le immagini di civili e bambini uccisi a Gaza, i continui bombardamenti israeliani in tempo di Ramadan non possono che destare preoccupazione al Cairo.
Non solo, senza una mediazione egiziana non si va molto avanti e i bombardamenti continuano. Lo sanno bene gli Stati uniti che hanno ritirato le critiche verso il golpe che ha deposto l’ex presidente Mohammed Morsi, ristabilendo parte degli aiuti militari Usa al Cairo, congelati l’estate scorsa. Non solo, gli Usa hanno anche invitato i diplomatici egiziani al vertice dei leader africani del mese prossimo a Washington, dopo il rientro del Cairo nell’Unione africana.
L’Egitto era stato espulso proprio in seguito al golpe. Infine, il ministero dell’Industria ha annunciato che la Banca mondiale ha confermato un prestito al Cairo per 300 milioni di dollari per finanziamenti a piccole e medie imprese.
In vista delle parlamentari in autunno, partiti e movimenti di sinistra si sono uniti nella Coalizione per la Giustizia sociale.
Il movimento chiede la cancellazione della legge anti-proteste e rifiuta gli aiuti economici degli Stati uniti. Nei giorni scorsi, 700 scrittori e intellettuali egiziani avevano firmato un manifesto per l’abrogazione della legge anti-proteste, inclusi Ahdaf Soueif e Sonallah Ibrahim.
Infine, l’ex premier dell’anno di presidenza Morsi, Hisham Qandil è stato scarcerato dopo essere stato prosciolto in appello. Qandil era stato condannato a un anno in primo grado per non aver attuato una sentenza di un tribunale amministrativo che ordinava la rinazionalizzazione dell’azienda Tanta Flax e Oil.