«Israele ha diritto a difendersi» è un mantra, ripetuto dal 7 ottobre, che per molti commentatori sembra implicare la legittimità di qualsiasi azione militare per cancellare Hamas. Si arriva a stigmatizzare qualsiasi voce critica come alleata del terrorismo. In qualche talk show forse verrebbe zittito persino Blinken quando invita lo Stato ebraico a una certa moderazione.

Il diritto all’autodifesa è un pilastro del diritto internazionale. La stessa Carta delle Nazioni Unite, all’articolo 51, lo definisce «diritto intrinseco», o «diritto naturale» (aggiungendo però che si può esercitare solo finché non interverrà il Consiglio di Sicurezza).

Ma il diritto internazionale vieta l’uccisione intenzionale dei civili, l’utilizzazione di determinate armi (come il fosforo bianco), le violazioni dei diritti umani, come «l’imposizione di assedi che mettono in pericolo la vita dei civili privandoli di beni essenziali per la loro sopravvivenza» (nelle parole di Volker Türk, Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani).

Non c’è dubbio che nell’attacco delle milizie di Hamas e di altri gruppi palestinesi si siano commessi crimini atroci – l’uccisione e la cattura di civili in primo luogo – che violano il diritto internazionale.

Così come non c’è dubbio che Israele, nella sua risposta militare, stia compiendo crimini di guerra: dai bombardamenti sulla popolazione civile all’inaudito ordine di sgombero dell’area settentrionale di Gaza con «corridoi umanitari» da cui avrebbero dovuto passare più di un milione di persone in sei, o in tre ore.

La legittimità dello Stato di Israele riposa su un atto del diritto internazionale: la risoluzione 181 del 1947, che assegnava agli ebrei il 56% della Palestina mandataria. Da Israele furono cacciati gran parte degli arabi (la Nakba) e il suo territorio si è esteso ulteriormente.

Da allora Israele ha ignorato o violato decine di risoluzioni del Consiglio di sicurezza e dell’Assemblea generale. In particolare la 242 del 1967 che ordina lo sgombero di Cisgiordania e Gaza, occupate con la Guerra dei Sei giorni (una guerra di aggressione, «crimine internazionale supremo»). La storia successiva è nota: le altre guerre, l’annessione di Gerusaleme Est e del Golan, la proliferazione degli insediamenti, gli accordi di Oslo e il loro fallimento, il ritiro da Gaza e il blocco.

Oggi, dopo le elezioni vinte da Hamas nel 2006, il fallimento del governo di unità nazionale e la guerra civile fra Hamas e Fatah, dal 2007 la Palestina è divisa in due entità. La Cisgiordania, ridotta a un territorio privo di continuità dagli insediamenti, dai muri e dai check-point israeliani, sempre più soggetta alle provocazioni e ai crimini dei coloni più che tollerati dall’esercito, è governata dall’ANP che non tiene elezioni generali da 17 anni. Gaza, ridotta a una prigione dal blocco, afflitta da povertà e disoccupazione, è governata da Hamas. Certo, come giustamente ripetiamo, i palestinesi non sono Hamas. C’è da chiedersi però se identificare Hamas con le sue azioni terroristiche, cui rispondere con «azioni di polizia, attuate naturalmente con mezzi militari adeguati» come ha fatto su queste pagine Luigi Ferrajoli, ci offra categorie adeguate a comprendere l’orrore contemporaneo.

La redazione consiglia:
Terrorismo, non guerra. L’errore che condiziona la risposta

Non è realistico riconoscere che Gaza costituisca di fatto un’entità statale? Che cosa conferisce la sovranità se non il fatto di esercitarla per un periodo prolungato? D’altra parte, in che modo Israele potrebbe esercitare azioni di polizia in un territorio densamente popolato come quello di Gaza? I «mezzi militari adeguati» non rischierebbero di fatto di risolversi in quello che stiamo vedendo e che ci aspettiamo?

È comunque in questa situazione, esito di una serie di violazioni del diritto internazionale, che Israele rivendica il suo diritto all’autodifesa e lo esercita senza limiti.

Nei secoli il diritto internazionale ha mostrato i suoi tragici limiti. Creato dagli Stati «cristiani» europei, ha spesso contribuito a legittimare la guerra ed è stato applicato in modo selettivo e asimmetrico. Ma se è diritto, vale per gli uni e per gli altri.
E ci aiuta, se non altro, a contrastare l’antica tendenza alla ferinizzazione del nemico: secondo il ministro della difesa israeliano Gallant si ha a che fare con «animali umani» e questo legittimerebbe la riduzione di Gaza alla fame e alla sete e la condanna a morte degli infermi.

* Docente di Filosofia del diritto Università di Camerino – Presidente di Jura Gentium