Gato. Come un gatto. L’appellativo preferito dei jazzisti che fra di loro, in segno di rispetto, si chiamavano «cat», riferimento evidente alla fluidità felina dell’esecuzione, al temperamento notturno, all’imprendibilità della musica, all’originalità irrepetibile. E Gato era tutto questo. Un vero gatto. Uno di quelli che hanno segnato un’intera epoca. Gato, argentino, nasce a Leando Jose a Rosario, la stessa città di Che Guevara. Sin dai primissimi e già irrequieti passi, Gato Barbieri scopre una sua incontenibile affinità con il mondo del cinema. Nel 1953 entra a far parte dell’orchestra di Lalo Schifrin (che scritto pagine indimenticabili di musica da film) e abbraccia il sax tenore, dopo avere studiato clarinetto e composizione. Nel 1962, però, si trasferisce a Roma e lavora per un giovane Ennio Morricone che lo coinvolge nella registrazione di Sapore di sale di Gino Paoli.
Nel 1963, Gianni Amico collabora alla sceneggiatura di Prima della rivoluzione. In quell’occasione Amico coinvolge in qualità di script girl proprio Michelle, la compagna di Gato, rimasta al fianco del musicista per 35 anni sino al 1995, quando infine soccombe al cancro. L’anno successivo Barbieri collabora con Piero Umiliani, compositore indimenticabile e raffinatissimo conoscitore di jazz, che lo vuole per la colonna sonora di Una bella grinta di Giuliano Montaldo. Quattro anni dopo ritorna con il maestro Umiliani per le musiche del film – ormai di culto – Svezia, inferno e paradiso di Luigi Scattini. Un altro incontro cinematografico cruciale è con Marco Ferreri. Prima L’harem (1967), poi Diario di un vizio (1993).

 

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Gli anni a cavallo fra la sua permanenza europea e la sua consacrazione internazionale come alfiere di una nuova idea di jazz aperta, contaminata secondo le indicazioni dell’amato John Coltrane ma soprattutto di Ornette Coleman, sono quelli all’insegna di un free jazz aspro ma in sintonia con le urgenze spirituali di un Albert Ayler. Nel 1965 vede la luce Gato Barbieri and Don Cherry, un disco caratterizzato da una ricerca inquieta. Cherry, che aveva lavorato con Coleman, è il varco di ingresso di Barbieri nel cuore del free più esigente. Disco di rara radicalità, segna l’incontro fra due temperamenti i che si complementano reciprocamente.

 

 
Con In Search of the Spirit (1967) e Confluence, diviso equamente con il pianista Dollar Brand, Barbieri si pone all’avanguardia del free post-Coltrane. Un brano come Obsession N. 2/Cinemateque (da In Search...) fonde alla perfezione alla perfezione il suo amore per il cinema con l’urgenza di una ricerca musicale senza pari.

 

 

 

 

Sarà Gianni Amico, figura di importanza cruciale per Gato Barbieri, ad aiutare il tenorista a saldare le due anime della sua ricerca poetica ed estetica. Il regista cinefilo e musicofilo e il sassofonista argentino stringono infatti un forte sodalizio di complicità e amicizia. Ed è abbastanza curioso notare come nelle note del libretto di Latino America, Ed Michel, l’uomo che per conto della Impulse! all’epoca ha seguito le registrazioni di Barbieri, noti, appena giunto in Argentina, al fianco del sassofonista «tale Johnny (maybe Gianni)» che «rideva così forte che a stento si reggeva in piedi». Ed è proprio attraverso Amico che Barbieri si ritrova a comporre la musica per Ultimo tango a Parigi di Bernardo Bertolucci, cosa che all’epoca fu l’origine di qualche polemica (come ricorda anche Michel) con Astor Piazzolla. D’altronde, quest’ultimo, cercato da Bertolucci, rifiuta l’incarico non comprendendo forse adeguatamente l’importanza della commissione prontamente invece accettata da Gato Barbieri.

 

 

 

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Nell’elaborazione dell’estetica musicale del tenorista di Rosario ricopre inoltre un’importanza cruciale la scoperta del nuovo cinema brasiliano. Originariamente in fuga da una cultura musicale che avvertiva come eccessivamente autoreferenziale, una volta in Europa inizia a dialogare, grazie sempre alla complicità instancabile di Gianni Amico che già nel 1965 lo coinvolge assieme a Mal Waldron, Cecil Taylor e Don Cherry nella lavorazione di Appunti per un film sul jazz, con le musiche del continente latino americano in un momento storico in cui le lotte anti imperialiste e contro le multinazionali statunitensi diventavano fattore di aggregazione culturale e creativa. Difficile sottostimare quindi l’impatto che ebbe su Barbieri il cinema novo brasiliano capitanato da Glauber Rocha. Nel 1969, Barbieri incide un disco la cui portata sarà epocale (e sono molti i dischi epocali suoi). The Third World, sin dal titolo (quindi decenni prima che tale dizione sarebbe stata banalizzata dai media), offre una visione politica della realtà del continente latino americano che si pone al di là della polarizzazione della guerra fredda. Il recupero delle musiche e delle strumentazioni tradizionali va di pari passo con l’accogliere le urgenze di una lotta politica serrata.

 

 

 

 

Considerato uno dei più influenti tenori del jazz post-coltraniano, Gato Barbieri è il musicista nel quale prende originariamente forma il concetto, ormai privo di qualsiasi valore politico, di world music. Non è un caso che la seconda facciata del disco (il primo pubblicato per l’etichetta Flying Dutchman, specializzata nella valorizzazione del jazz d’avanguardia) sia dedicata a una suite incentrata sulla figura di Antonio Das Mortes. Nelle note di copertina del disco vergate dallo storico Nat Hentoff, Barbieri spiega che «il personaggio di Antonio Das Mortes appare per la prima volta in Il dio nero e il diavolo biondo. Antonio viene assoldato dai proprietari terrieri per sgominare i cangaceiros, guerriglieri fuorilegge, nel sertão. Antonio riesce a sconfiggerli, ma nel nuovo film comprende che i cangaceiros lottavano dalla parte giusta. Lottavano per i poveri.

 

 

 

 

 

Quindi Antonio è costretto a prendere posizione, a schierarsi contro coloro che lo avevano ingaggiato come assassino di stato. Diventa un ribelle». Per affermare al di là di ogni equivoco questa consapevolezza, Gato Barbieri ripete nel disco la frase che il capo dei ribelli pronuncia mentre muore: «Il potere del popolo è più forte!». Non è casuale, quindi, che nel 1970 si ritrovi al fianco di Pier Paolo Pasolini per comporre le musiche di Orestiade africana. L’incontro fra il free jazz, primo e indimenticabile amore di Barbieri e le promesse dell’Africa post coloniale, unitamente alla riscoperta delle musiche tradizionali africane non potevano non saldarsi nell’orizzonte della progettualità del poeta friulano. Un oratorio free rimasto purtroppo allo stadio embrionale del quale si possono cogliere alcuni barlumi di urticante genialità proprio in Appunti per un’orestiade africana.

 

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Con la fine degli anni Settanta, come testimonia il disco Caliente!, prodotto Da Herb Alpert, Barbieri si avvicina a una musica che dialoga con Carlos Santana e Marvin Gaye e che in Italia lo porterà a collaborare con Pino Daniele nell’album Ferry Boat e nel tour raccolto fra i solchi del live Scio’. Gato reciprocherà il favore invitando Daniele nell’album Apasionado prodotto da Teo Macero, storico produttore di Miles Davis.