«Ognuno avrà il suo tornaconto. Israele ci venderà il suo gas e vedrà Gaza più autonoma e separata dalla Cisgiordania, il Qatar dirà di aver aiutato la popolazione civile e gli europei si sentiranno con la coscienza a posto mentre noi restiamo sotto blocco (israeliano). Hamas intanto ringrazia». Rievoca le finalità dell’«Accordo del secolo» di Donald Trump il giornalista Tareq Hijazi commentando la prossima costruzione di un gasdotto da Israele alla Striscia di Gaza che dovrebbe mettere fine alla crisi energetica che paralizza questo fazzoletto di terra palestinese. L’umanitario che materializza i disegni politici dei più forti è uno dei pilastri del «piano di pace» per israeliani e palestinesi presentato dall’ex presidente americano. E non è detto che la nuova Amministrazione Usa lo abbandoni del tutto.

Gaza disperata, stretta nel blocco israeliano da oltre dieci anni, quasi priva di acqua realmente potabile, con poche ore di elettricità al giorno, con livelli di disoccupazione record, ha bisogno di tutto. Di conseguenza, spiega Tareq Hijazi, «tanti hanno applaudito all’annuncio che il gasdotto si farà. Anche se compreremo il gas da Israele e non potremo usare il nostro, che è proprio qui davanti a noi, al largo di Gaza, inutilizzato da quasi trent’anni». Il via libera al progetto è apparso due giorni fa sul sito del ministero degli esteri del Qatar. Doha, che con aiuti finanziari per centinaia di milioni di dollari da anni garantisce l’ossigeno che fa respirare Gaza e puntella il potere di Hamas, ha annunciato che finanzierà con almeno 60 milioni di dollari la costruzione del gasdotto, da completare entro il 2023.

Il gas proveniente dal giacimento sottomarino israeliano Leviatano pertanto arriverà a Gaza grazie ai milioni del Qatar. E non è marginale che Doha, che non ha approvato la recente normalizzazione arabo-israeliana (Accordo di Abramo), si prepari a investire nello Stato ebraico con cui formalmente non ha rapporti. L’Unione europea invece finanzierà i lavori dal lato di Gaza. Per il governo dell’Autorità nazionale palestinese non c’è un ruolo di primo piano, oltre alle firme e ai timbri sui documenti ufficiali. Ma fa buon viso a cattivo gioco. «L’annuncio è un’ottima notizia, il gasdotto risolverà il problema dell’elettricità a Gaza», ha commentato il premier Mohammed Shttayeh.

Il gas raggiungerà l’unica centrale di Gaza alimentata con il gasolio industriale, costoso e inquinante, e al momento in grado di coprire solo un terzo del fabbisogno di elettricità. In questo modo dovrebbe raddoppiare, forse quadruplicare, la sua capacità. All’inizio i palestinesi acquisteranno da Israele 0,2 miliardi di metri cubi di gas all’anno che saliranno a un miliardo con l’espansione del progetto. Qualche giorno fa l’Ue ha stanziato i primi cinque dei 20 milioni di euro per la porzione di gasdotto all’interno di Gaza lunga quattro chilometri. Il segmento israeliano si estenderà per 45 chilometri. L’aumento del flusso energetico potrebbe garantire un miliardo di dollari al Pil palestinese.

Grazie al Leviatano Israele già esporta gas in Giordania e in Egitto. Ora si aggiunge Gaza e in un futuro non lontano sarà il turno della Cisgiordania, stando a intese di cui si parla da tempo. Per Tel Aviv i vantaggi politici e di sicurezza sono evidenti. Le chiavi della fornitura sono nelle mani di Israele e Hamas, al di là dei suoi proclami battaglieri, dovrà evitare frizioni e scontri altrimenti il flusso del gas per Gaza rischierà l’interruzione. Un punto sul quale, ci si può giurare, hanno battuto i generosi donatori qatarioti (ed europei).