Ankara è ogni giorno di più palcoscenico e attore della guerra globale contro l’Isis. Le sorti della coalizione guidata dagli Stati uniti sembrano passare per la Turchia, che pare in grado di dettare tempi e strategie. Tanto da finire nel mirino di Mosca. Che le posizioni di Putin e Erdogan sulla questione siriana siano agli opposti non è una novità, con il primo che preme per un ruolo di primo piano da far rivestire all’alleato Assad e il secondo che ne vuole la testa.

Ieri i due si sono incontrati nella capitale turca per discutere di questioni energetiche (Ankara fa pressioni per ridurre i prezzi del gas russo), ma inevitabilmente il discorso è finito anche sullo Stato Islamico. L’obiettivo della visita lampo è triplicare il volume degli scambi commerciali, facendolo passare dagli attuali 33 miliardi a 100 entro il 2020. Come spesso accade, è possibile che gli interessi economici facciano da apripista ad un riavvicinamento delle posizioni sull’avanzata dell’Isis e sull’Ucraina: Erdogan non ha mai appoggiato l’annessione russa della Crimea né tantomeno il sostegno di Putin a Damasco.

E mentre Mosca sonda il terreno, a muoversi è Washington, da mesi impegnata a strappare alla Turchia un maggiore impegno nella nuova guerra al terrore: secondo il Wall Street Journal, i due alleati sarebbero vicini ad un accordo definitivo sulla cooperazione militare in Siria. Ankara, riporta il quotidiano, starebbe per dare il via libera all’utilizzo delle proprie basi militari da parte dell’esercito statunitense e delle forze alleate per lanciare raid sulle postazioni islamiste in Siria e Iraq.

Fonti statunitensi e turche aggiungono che l’accordo prevedrebbe la creazione della zona cuscinetto, quella per cui Ankara ha fatto enormi pressioni negli ultimi mesi, un corridoio dentro il territorio siriano da Latakia a ovest fino al confine con l’Iraq a est, dove spostare i rifugiati siriani oggi in Turchia e dove addestrare 2mila miliziani delle opposizioni moderate. Sulla zona cuscinetto verrebbe implementata una no-fly zone, ovvero i suoi cieli sarebbero interdetti all’aviazione di Damasco.

Se quanto riportato dal Wsj fosse vero, se la Casa Bianca – in cambio delle basi – si fosse piegata all’agenda di Ankara, Erdogan intascherebbe una vittoria politica di estremo valore. All’interno della zona cuscinetto rientrerebbe anche Kobane, la città kurda sotto assedio Isis da metà settembre. Dopo le accuse mosse sabato dalle Unità di Protezione Popolare della città e dagli attivisti kurdi in Turchia secondo i quali l’ultimo ingente attacco islamista è stato sferrato dal territorio turco (sabato un kamikaze passato per il valico tra Turchia e Siria, si è lanciato su Kobane uccidendo 30 civili), domenica i media kurdi hanno riportato un’altra notizia, che se provata sarebbe altrettanto grave.

Secondo l’agenzia stampa kurda Rudaw, sabato l’esercito turco avrebbe compiuto raid aerei contro la città di Kobane, ferendo civili e combattenti delle Ypg. «Nascondendosi dietro la scusa di voler impedire all’Isis di attaccare la Turchia, l’esercito turco ha bombardato il centro di Kobane con l’artiglieria e i carri armati – ha detto a Rudaw Anwar Muslim, co-presidente del cantone – Alcuni civili e combattenti sono stati feriti». Muslim ha poi aggiunto che le autorità turche hanno staccato l’elettricità ai campi profughi kurdi al confine durante i raid. Ankara, di nuovo, smentisce.