L’energia imprenditoriale della Compagnia delle Indie aveva sostenuto per due secoli e mezzo l’impero anglo-indiano, vasto quanto un continente. Gigantesco coacervo di lingue, genti, piccoli e splendidi reami, arcaici riti, inserito a sua insaputa nel più vasto gioco della politica internazionale. Nel Settecento ci fu un genere letterario nuovo e ardito, il romanzo, in grado di circoscrivere e districare quel tessuto umano fervente di vita, incalzato da una spinta aliena che procedeva secondo ragioni e necessità sue proprie.

L’occhio dell’Occidente aveva guidato i primi indelebili passi di Defoe sul molle terreno dell’isola immaginaria e reale. Ci fu Kipling, nel secolo successivo, che volle mantenere l’uno e l’altro paese nel suo cuore doppio di angloindiano, in perfetto e complementare equilibrio. Ma nel Novecento l’impresa straordinaria uscì dai limiti della politica tradizionale; quell’alone di sogno che l’aveva circonfusa cominciò a diradarsi, e occhi moderni non furono pìù abbagliati dalla cometa imperiale: «onore, dovere, zelo cristiano, superiorità culturale, e magnanimità …» (Ben F.Tobin, Picturing Imperial Power, 1999).

«Quando ero giovane e l’impero cominciò a disintegrarsi – confida Jane Gardam in una intervista –, l’idea era assolutamente incredibile, specialmente per i bambini ai quali era stato insegnato che da noi il sole non sarebbe tramontato mai … questo è quanto tutti i miei libri di allora ci assicuravano». A raccogliere i resti della lunga agonia imperiale Gardam ha scritto una trilogia romanzesca, pubblicata in Italia da Sellerio: Figlio dell’Impero Britannico (2019, recensito su queste pagine), L’uomo col cappello di legno (2021), e adesso L’eterno rivale (Last Friends, 2013), tradotto da Federica Oddera (pp. 290, euro 15,00).

Con linguaggio colloquiale, affettuoso, sono ricordati gli eccentrici naufraghi di un mondo che va scomparendo: quegli inglesi nati a Pechino, Hong Kong, Singapore, Delhi … senza più patria. Chi va a morire a Malta, chi torna a Hong Kong, chi finisce, vergine, tra le braccia di una ultraottantenne dal furbo nome di Dulcie. «È prefemminismo l’intero libro – dichiara l’autrice –, tuttavia è pieno di femministe».

Ormai le vecchie glorie dei tribunali asiatici giocano a scacchi nelle belle e case di campagna, ricchissimi, arroccati sulle antiche rivalità, i segreti amori, la bravura, lo stile british, intrecciati misteriosamente nelle loro eccezionali esistenze di figli del Raj.
Secondo la celebrata tradizione dei romanzi inglesi scritti da donne, la casa di famiglia condiziona il ritmo della narrazione: la conversazione trattiene la grazia urbana dei dialoghi, le emozioni sono filtrate, gli accidenti misurati e i giudizi ben ponderati. Gardam – come loro – sembra che abbia sempre scritto i suoi libri sul tavolo migliore, non lontana dalla cucina, con la preoccupazione della torta deliziosa dove ha mescolato ai soliti ingredienti qualche spezia esotica.

Ha iniziato pubblicando per young and adults, misurandosi sui figli Tim, Kitty e Tom. Il marito David, un barrister che lavorava spesso all’estero, era fonte sicura di informazioni per la complicata cultura giuridica internazionale. Episodi cruenti della seconda guerra mondiale condizionarono i suoi anni giovanili.

Nel dopoguerra i drammatici rovesci fecero emergere realtà nuove, personaggi avventurosi, occasioni favorevoli che sfidavano il vecchio mondo. Old Fitch, l’inglese roccioso, nato in Malesia, sepolto nel Devon, protagonista del primo libro, è sfidato da un esotico rivale, russo o slavo, dal nome incerto di Terry Veneering, nato in Inghilterra, educato a Oxford, abilissimo uomo d’affari, elegante, intuitivo, seducente, dal caratteristico ciuffo biondo, quasi bianco. «Terence – Terry – la scintilla che sfreccia in mezzo al grano…» (Il rivale), figlio dell’uomo di Odessa e della grande e umile Florrie, due misteriosi espatriati. «Florrie non s’integrava.

La sua essenza sembrava lontana, molto al di là della sua figura tozza. Suggeriva un’altra vita, una civiltà segreta …». Jane Gardam (95 anni) si augura una società mondiale integrata e non immemore del passato. I suoi trenta libri, tra cui preferiva quello ispirato a Defoe, Crusoe’s Daughter, meritano senz’altro un onesto OBE (Order of the British Empire).