La recente pubblicazione del romanzo Le donne del signor Nakano (traduzione di Antonietta Pastore, Einaudi, pp. 228, euro 19,00) segna il ritorno nelle librerie italiane della cinquantacinquenne Kawakami Hiromi, dopo il fortunato esordio nel 2011 con La cartella del professore. Anche in questo romanzo la scrittrice ci coinvolge nel fascino del suo stile fluido, innervato da un’ironia che sa essere leggera e pungente, nel quadro di una rara sensibilità per i moti più impercettibili dell’animo umano.

Ciò che distanzia Kawakami da altri protagonisti della cosiddetta nuova letteratura giapponese, tra cui Murakami, Banana Yoshimoto e tante altre scrittrici note anche al pubblico italiano, è innanzi tutto il suo talento nel raccontare storie che ritraggono la realtà e al tempo stesso sembrano fluttuare al di sopra di essa, anche quando la quatidianità è contenuta nella peculiare, densa matericità della bottega di un rigattiere, il negozio del signor Nakano, che «non è di antiquariato ma di roba vecchia», ed è letteralmente sommerso di oggetti usati.

Dai tavolini pieghevoli ai ventilatori, dai condizionatori al vasellame, ogni sorta di articoli per la casa dalla metà dell’era Showa in poi è accumulata nel locale… Un guazzabuglio di oggetti da pochi soldi, stravaganti, incongruenti, scompagnati, e spesso nemmeno particolarmente vecchi, contenuti nello strano bazar alla periferia ovest di Tokyo, che non solo è teatro della narrazione, ma in un certo modo ne diventa protagonista. La storia – raccontata attraverso lo sguardo attento di Hitomi, una giovane donna alle soglie dei trent’anni – si svolge sotto i nostri occhi in una fitta sequenza di istantanee che ritraggono la variopinta umanità gravitante attorno al negozio e ai rapporti che intrattiene la protagonista, nonché voce narrante: c’è il signor Nakano, il rigattiere, un uomo di mezza età, irascibile e inguaribilmente attratto dalle donne; sua sorella Masayo, un’artista eccentrica e romantica; Takeo, il timido e laconico collega; i vari clienti occasionali o abituali che giorno dopo giorno varcano la soglia della bottega. Al cuore della storia, l’assurdo che si nasconde nel quotidiano, e variazioni sull’amore, in tutte le sue forme e sfaccettature.

L’attenzione dell’autrice si concentra sui sentimenti, e soprattutto sui rapporti che legano le persone, e la narrazione si costruisce fra dettagli all’apparenza insignificanti, frasi smozzicate, minuzie del quotidiano che lasciano ampio margine al non-detto. Eppure, il ritmo delle conversazioni e degli sguardi, ci introducono con delicatezza ai risvolti più intimi, segreti delle emozioni. Hitomi, che quasi non ha esperienza dell’amore e del desiderio, segue con sguardo incredulo e meravigliato la vita di Nakano, a lei incomprensibile: l’uomo, consumato tombeur de femmes, si reca regolarmente in banca allo scopo, in realtà, di incontrare la sua amante, Sasaki, una donna elegante, che gestisce un negozio di antiquariato. E poi c’è Maruyama, l’amante di Masayo, e c’è il sentimento fragile e impacciato che accenna a esprimersi fra Hitomi e Takeo, ma subito incespica e sembra frantumarsi contro la paura di abbandonare il guscio rassicurante della propria stessa solitudine. Perché – come realizza ben presto la protagonista – l’amore è una cosa terribilmente complicata.

Più complicato ancora, è realizzare se si abbia voglia di essere innamorati o meno. Anche per questo la storia è avvolta da un’atmosfera di sottile nostalgia, che, al di là dell’eleganza e della sottile ironia, si diffonde tra le pagine. Le vicende narrate si svolgono a Tokyo, ma sono lontane le immagini cui ci hanno abituato negli ultimi anni la letteratura, il cinema, la cultura pop, dove la città ossessivamente ritorna, come luogo reale e come luogo simbolico di una post-modernità al contempo invocata e aborrita: distorsione distopica, groviglio di strade ed edifici, de-identificata e sconnessa dalla propria stessa fisicità, ab-norme cassa di risonanza, ripetitore che genera un rumore crescente, voragine che nella iterazione dei suoi moduli, nella perdita di centro, confini e identità storica, inghiotte ogni residuo di umanità.

Perfetto concentrato di quelli che l’antropologo francese Marc Augé identifica come non-luoghi, essenzialmente un recinto di involucri, pelli metalliche, fluorescenze, dal cinema di Tsukamoto Shin’ya ai romanzi di Taguchi Randy il cuore di Tokyo è sempre più spesso protagonista di narrazioni sospese fra la materica e granulosa realtà del mondo in cui noi, abitanti della modernità liquida, viviamo, e un possibile altrove.

La bottega da rigattiere del signor Nakano si trova invece in periferia, una periferia che tuttavia non è come in Murakami Ryû il luogo del crimine, o come in Shimada Masahiko il deserto germinato dall’incontrollata escalation del capitalismo, che oggi espande la sua superficie su tutta la terra. La periferia di Kawakami è quella dei quartieri popolari, dove la vita scorre a un’altra velocità, lontana dai ritmi frenetici, dalla folla anonima, nella quale l’individuo si annulla. Strade dove le persone hanno un volto, un nome, una storia, dove si incontrano, si conoscono… È un contesto di piccoli commercianti, di artigiani, quello che il romanzo ci propone: il Giappone piccolo-borghese, dove sopravvivono i valori tradizionali (la famiglia, il lavoro, l’amicizia solidale) e i rapporti di buon vicinato. Si percepisce un brulichio di vita, nel quale sopravvive ancora l’idea del quartiere come una grande famiglia, una comunità di mutua cooperazione e supporto alla quale si sente di appartenere, nella quale ci si riconosce, così come nelle relazioni che con essa si intrattengono. I libri di Kawakami Hiromi racchiudono questo lato del Sol Levante, sottolinea Antonietta Pastore, ancora vivo e vitale, non solo nelle campagne o in provincia.

E in effetti, a ben guardare, ciascuno dei capitoli in cui è scandito Le donne del signor Nakano descrive con cura minuziosa un episodio della vita dei personaggi, ma anche un momento della quotidianità di questa periferia ovest di Tokyo, dove vivono tanti studenti: i mesi e le pagine scorrono, le stagioni cambiano, ma poco altro. Anzi, per gran parte del romanzo non si verifica alcun avvenimento cruciale: quasi tangibile è il rifiuto testardo dell’autrice a rendere la trama più accattivante tramite l’azione o l’introduzione di colpi di scena. Anche la personalità, i desideri, le debolezze dei personaggi si rivelano paragrafo dopo paragrafo, dettaglio dopo dettaglio, come un mosaico cui si aggiunge con pazienza una tessera dopo l’altra. E quasi nulla ci viene raccontato del loro background. Lentezza e semplicità sono le parole chiave.

Eppure il racconto scorre leggero, grazie alla vaporosità e al sottile umorismo della prosa di Kawakami, centrata su una quotidianità sonnacchiosa eppure imprevedibile, senza prendersi troppo sul serio.