Forse è esagerato parlare di «colpo di stato» dei militari contro Benyamin Netanyahu, come fa Carolina Landsmann su Haaretz. Ma ci sta. Sono anni che i capi delle forze armate e dei servizi d’intelligence israeliani, o almeno alcuni di essi, si mostrano insofferenti nei riguardi del primo ministro, da dieci anni al potere. E uno di questi, l’ex capo di stato maggiore Benny Gantz, appena entrato in politica sembra già in grado di intercettare consensi sufficienti da mettere in discussione l’ennesima vittoria di Netanyahu quando il 9 aprile gli israeliani andranno alle urne per eleggere la nuova Knesset. A maggior ragione se si tiene conto delle voci, sempre più insistenti, che vorrebbero il procuratore generale Avishai Mandelblit approvare prima del voto l’incriminazione di Netanyahu per corruzione richiesta dalla polizia. Gantz, leader del neonato Homed L’Israel (Resilienza di Israele), si è alleato con un altro ex capo di stato maggiore, Moshe Yaalon, e diversi sondaggi, dopo il primo vero discorso elettorale pronunciato a metà settimana, lo danno in forte ascesa, alla pari con il premier nel gradimento degli elettori israeliani. Vola anche Homed L’Israel dietro di 6-9 seggi al partito Likud guidato da Netanyahu. Tutti ne sono convinti. Nei prossimi due mesi la campagna elettorale vedrà i fuochi d’artificio.

Gantz accusa Netanyahu di aver spaccato Israele. Afferma di voler creare maggiore unità tra tutti i cittadini, tra laici e religiosi, tra le varie componenti ebraiche della popolazione. E promette di “correggere” la legge su Israele-Stato del popolo ebraico, approvata lo scorso luglio e tanto voluta dal premier e dalla sua coalizione, che ha sancito nero su bianco lo status di cittadini di serie B per i palestinesi e i drusi nello Stato ebraico. Ma i “buoni” propositi si fermano alla politica interna. Se parliamo di occupazione militare dei Territori palestinesi, di sicurezza e di diplomazia Gantz è decisamente spostato a destra. L’ex generale si presenta sorridente e conciliante, spesso appare con la camicia aperta sul collo come i vecchi leader sionisti per darsi una immagine di “pioniere” e “combattente” contrapposto al politico scaltro e navigato Netanyahu. «Per me – ripete – Israele viene prima di tutto. Unisciti a me e insieme percorreremo nuove strade. Perché abbiamo bisogno di qualcosa di diverso e insieme faremo qualcosa di differente». Strade nuove ma non nei confronti dei palestinesi.

L’ex generale, 60 anni, capo dell’esercito dal 2011 al 2015, ha guidato due offensive contro Gaza: “Colonna di nuvola” (2012) e “Margine Protettivo” (2014). E della seconda ha usato, peraltro in modo illegale, immagini girate da palestinesi che mostrano distruzioni immense a Gaza con scritte che ricordano quanti “terroristi” sono stati uccisi e la “lezione” data ad Hamas. Una famiglia palestinese intende portarlo in giudizio all’Aja per uno dei tanti massacri di civili avvenuti in quella guerra. Gantz nel suo discorso elettorale non ha espresso la volontà di voltare pagina. Anzi, insiste sul pugno di ferro e afferma una linea intransigente: Valle del Giordano, Gerusalemme Est e vaste porzioni di Cisgiordania sotto il controllo di Israele, così come il territorio siriano delle alture del Golan occupate nel 1967. Con lui al potere la posizione di Israele verso i palestinesi resterà la stessa, anche se mettesse insieme una ipotetica maggioranza con i resti del partito laburista (in caduta libera) e i partiti centristi Yesh Atid, Hatnua e Gesher, guidati da Yair Lapid, Tzipi Livni e Orly Levy-Abekasis.

Di sicuro, come vuole una regola non scritta della politica israeliana, non chiederà di unirsi a una sua coalizione i partiti non sionisti che rappresentano la minoranza palestinese (20% della popolazione) in Israele. Che si sono spaccati. La Lista unita araba a inizio gennaio ha perduto uno dei suoi tre pezzi, il partito Taal del deputato Ahmed Tibi che, confortato dai sondaggi, ha deciso di andare da solo al voto e di abbandonare le formazioni progressiste Hadash e Tajammo.