È di Filippo Ganna la prima maglia rosa. Ha sbaragliato una concorrenza che più agguerrita certo non si poteva, al via i migliori specialisti delle gare contro il tempo. Lo aspettavamo tutti tra le sue strade, lui piemontese, e come successe l’anno scorso il campione del mondo a cronometro non ha deluso. Ci deve aver messo, Ganna, ancor più energia, infastidito da chi aveva scambiato per una crisi due o tre giornate storte in cui era incappato di recente, dopo un anno e più corsi da imbattuto. Lo si è visto da come affrontava senza smettere di pedalare le poche curve a gomito apparecchiate sul percorso.

Dietro di lui si piazza un altro atleta azzurro, Affini, mantovano come mantovana fu la prima maglia rosa, Learco Guerra, la locomotiva umana, giusto novant’anni fa. La tappa è un prologo corso velocissimo sotto l’ombra dei platani e dei tigli, in su e in giù tra una riva e l’altra del Po, dopo averne guadagnato le sponde da Piazza Castello. Serve ad assegnare la maglia più che a infliggere distacchi tra i rivali per la classifica finale, tant’è vero che i favoriti per il podio di Milano alla fine risulteranno divisi da una manciata di secondi, se non di centesimi.

Un po’ di vantaggio l’ha preso solo Evenepoel, resuscitato (alla lettera) dal burrone lombardo dov’era capitombolato l’estate scorsa, e dopo nove mesi senza corse. Una ventina di secondi mangiati ai rivali diretti che danno, se non altro, morale.

Serve anche, la tappa di oggi, alla gente per tornare a bordo strada. Si sprecheranno le metafore sul Giro della ripartenza e del ritorno alla normalità, quasi si fosse al via della corsa rosa del ’46.

Ed in effetti le vie del quadrilatero centrale di Torino sono prese d’assalto dalla media classe media, che assolve la sua funzione di consumare roba di media classe. E lo fa con piglio quasi vendicativo, una molla a lungo compressa dal lockdown. Lambisce però piazza Castello un corteo di un centinaio di operai della Whirlpool. “Guardatevi – urla un manifestante – sembrate al mare. E noi oggi siamo fuori dalla fabbrica!”. Ripartono poi cori di epiteti poco gentili alla volta di Giorgetti.

Tracce di una città più invisibile, oramai, che inesistente come ci vorrebbero far credere. La periferia intanto sonnecchia all’ombra delle serrande abbassate dei negozi, non si sa se non c’è più nulla da vendere o più nulla da comprare.
Quasi a voler riconciliare lo spirito del paese reale (e globale) con quello della gente del ciclismo, un variopinto gruppo di tifosi colombiani mostra un cartello di protesta contro la repressione incontrollata del Governo Duque.