Ce ne vorrebbero di personaggi come Leopoldo Cicognara nell’Italia di oggi. È questo il primo istintivo pensiero che registriamo uscendo dalla mostra che alle Gallerie dell’Accademia di Venezia è stata organizzata per celebrare il bicentenario del museo: Canova, Hayez, Cicognara. L’ultima gloria di Venezia (fino al 2 aprile, catalo Marsilio/Electa). Una mostra esemplare, imperniata sulla figura di questo personaggio che fu il grande regista della salvaguardia dei beni culturali e della crescita culturale di nuovi talenti in una stagione delicatissima per Venezia. Siamo a inizio Ottocento, e Cicognara si trova prima a difendersi in trincea dalle soppressioni e dalle spoliazioni napoleoniche, poi a gestire il recupero delle opere in rapporto con i nuovi occupanti austriaci. Dall’altra parte riesce però anche a far decollare le attività di un’Accademia che avrebbe dovuto di nuovo alimentare la gloriosa storia artistica di Venezia. Come scrive Fernando Mazzocca in catalogo, «quello che colpisce in Cicognara è la capacità… di unire all’incessante attività di storico ed erudito uno straordinario impegno militante, per cui ha saputo reggere, in un momento davvero difficile, la gestione dell’immenso patrimonio artistico e nello stesso tempo seguire da vicino lo sviluppo dell’arte contemporanea».
Il titolo della mostra affianca a quello di Cicognara due nomi più roboanti: Canova e Hayez. Ma è fuori di dubbio che il protagonista e la sorpresa della mostra, curata da Fernando Mazzocca, Paola Marini e Roberto De Feo, sia soprattutto lui. Ferrarese di nascita (1767), era arrivato a Venezia nel 1808, chiamato a presiedere l’Accademia di Belle Arti, dopo una stagione politica nelle file napoleoniche. Caduto l’imperatore aveva saputo conquistarsi la fiducia del nuovo governo austriaco.
La mostra prende avvio dalla narrazione del memorabile ritorno a Venezia dei Cavalli che Napoleone aveva esportato a Parigi e sistemato sopra l’Arc du Carrousel. Arrivarono a Venezia il 13 dicembre 1815, con una grandiosa cerimonia al cospetto dell’imperatore Francesco I d’Austria. Cicognara era stato al centro di un dibattito circa la loro risistemazione, e alla fine riuscì a imporre il suo progetto, più filologico, rispetto all’idea scenografica di Canova, che voleva mettere i quattro cavalli su altrettanti piedistalli davanti a Palazzo Ducale. In mostra Cicognara entra in scena con un ritratto del suo pupillo Francesco Hayez del 1816. Il presidente dell’Accademia posa con la seconda moglie Lucia Fantinati e con lo scontroso figlio Francesco, avuto dal primo matrimonio. In mano tiene una celebre stampa di Canova per una scultura che avrebbe dovuto corredare il monumento a Pio VII. Sulla destra si intravvede il monumentale busto dello scultore («Mio dolcissimo amico», gli si rivolgeva) realizzato da Rinaldo Rinaldi, che faceva parte della sua collezione. Sono tutti segni di un legame affettivo e di un sodalizio professionale straordinari, grazie al quale Canova aveva accettato di fare da tutor ai nuovi talenti dell’arte veneziana che, a spese pubbliche, venivano mandati a Roma per farsi le ossa. Tra i talenti (per esempio Giovanni De Min), c’era naturalmente il terzo protagonista della mostra, Hayez.
Nella vetrina vicina, invece, si può vedere il frontespizio di un’opera didattico-enciclopedica avviata da Cicognara: la Storia della scultura dal suo risorgimento in Italia sino al secolo di Napoleone. Come sottolineò Giovanni Previtali, Cicognara mostra una comprensione per i primitivi e per il romanico che per l’epoca andava ritenuta «piuttosto eccezionale». Purtroppo quel «Napoleone» a caratteri cubitali nel frontespizio agli occhi degli austriaci risultò indigeribile e Cicognara non trovò le risorse per portare a termine il suo lavoro.
Ma il suo vero capolavoro, sintesi di una capacità di visione e di una sincera preoccupazione a fornire opportunità agli artisti del suo tempo, lo mise a segno nel 1817, lo stesso anno in cui avrebbe aperto le Gallerie dell’Accademie. Come da tradizione, in occasione delle nozze dell’imperatore le provincie sottomesse erano chiamate a un omaggio in forma di pesante tributo. Quando Francesco I d’Austria convolò alle sue quarte nozze con Carolina Augusta di Baviera, l’una tantum venne fissata in trentamila ducati: ventimila da parte della più ricca Milano e il restante dalle provincie venete. Cicognara propose alla corte di Vienna di commutare il contributo monetario in opere d’arte, realizzate ad hoc per l’appartamento dell’imperatrice. In questo modo ottenne che i soldi non uscissero da Venezia ma venissero destinati agli artisti chiamati all’opera: una scelta che oggi verrebbe definita win win… Per convincere la corte bisognava però che tra gli artisti ci fosse il numero uno, cioè Antonio Canova. A Cicognara, grazie alla fraterna amicizia che li legava, riuscì facile convincerlo a vendere un’opera che, per i rovesci della storia, aveva perso per strada la sua committente: si trattava del ritratto divinizzato della sorella di Napoleone Elisa Baciocchi, rappresentata come la musa Poliminia.
Grazie al lavoro paziente di Roberto De Feo, per la prima volta l’insieme di questo Omaggio delle provincie venete alla neo-imperatrice è stato quasi interamente riunito. Al centro della sala troneggia naturalmente la grande scultura di Canova, con la sua algida e imperiale sensualità. Prima di partire definitivamente per Vienna la scultura sostò a Venezia, dove Cicognara la espose nella Sala centrale della neonata Pinacoteca (l’ex Capitolo della Scuola della Carità). La scultura venne posizionata su un bilico, grazie al quale ruotava («gira al soffio dell’aria che spira dalla finestra», annotava entusiasta il presidente dell’Accademia) e poteva quindi trovarsi faccia a faccia con l’Assunta di Tiziano, portata via dall’abside dei Frari, in questo caso con scelta un po’ discutibile, e sistemata trionfalmente sul fondo della Sala. Il presidente dell’Accademia volle però mettere anche una ciliegina sulla torta di questo suo capolavoro: realizzò un catalogo delle opere esposte. Come ha scritto Nico Stringa si tratta del «primo catalogo di una grande mostra di arte contemporanea in cui tutte le opere esposte sono adeguatamente illustrate da apposite incisioni». Quindi strumento di conoscenza e di condivisione di un patrimonio che poi sarebbe finito in location impenetrabili ed esclusive.
A Cicognara vanno poi riconosciuti meriti davvero pionieristici nell’ambito della conservazione e della conoscenza dei beni culturali: convinse il governo austriaco a fissare le regole per evitare l’esportazione delle opere d’arte, fece istituire una Commissione delle Belle Arti per censire e tenere sotto controllo l’immenso patrimonio, custodito in particolare nelle chiese. Infine lavorò con grande intelligenza anche sui criteri didattici per l’Accademia, aprendola ai mestieri d’arte con una sezione di scuola d’ornato e di mosaico. È un’attività che non era possibile documentare in mostra ma ben ricostruita in catalogo: uno strumento agile e completo, capace di darci uno sguardo d’assieme su questa ultima grande stagione dell’arte veneziana. Catalogo anche di grande qualità grafica (il progetto è dello Studio Leonardo Sonnoli).
La mostra continua il suo percorso: vengono registrati gli spifferi romantici (una sala è dedicata ai tre anni di Byron a Venezia). Si incrinava così l’equilibrio fragile e affascinante che una personalità esemplare come quella di Cicognara aveva saputo garantire, tenendo insieme visione neoclassica e coscienza civile della cultura.