Il movimento di protesta contro il governo islamista di Recep Erdogan annovera una moltitudine di forze politiche e sociali. Basti pensare che alle poche centinaia di gruppi di studenti, intellettuali e organizzazioni non-governative, che hanno condotto manifestazioni quasi continue dal primo maggio in avanti, si sono uniti l’intero spettro delle forze politiche di opposizione, convinte di poter cavalcare la protesta e scalfire il forte consenso di cui ancora gode il partito governativo di Erdogan, Giustizia e Sviluppo (Akp). Le manifestazioni di questi giorni non sono il frutto di un’opposizione unitaria e programmatica al governo, ma di una più strisciante insoddisfazione e rabbia sociale.

Tra le componenti più accese e coinvolte nelle violenze, vi sono gli ultras – i gruppi del tifo organizzato delle principali squadre di calcio turche, che si sono uniti alle contestazioni proprio nel momento in cui la repressione ha subito un’impennata. Ma la politicizzazione e il ruolo del tifo organizzato nelle proteste anti-governative non sono nuovi: durante la Primavera araba, in Egitto, le tifoserie hanno giocato un ruolo importante e soprattutto vengono rappresentate come un elemento di instabilità per il nuovo ordine.

Attraverso comunicati comparsi sui social network il 31 maggio, i maggiori gruppi delle tre principali – e acerrime nemiche – squadre di Istanbul (Galatasaray, Besiktas e Fenerbahçe) hanno aderito ad una tregua storica con l’intento di presentarsi in piazza come un blocco unitario, di solidarizzare con il movimento di protesta e di unire le forze nel fronteggiare la polizia. Con ogni probabilità gli ultras hanno preso parte agli scontri con la polizia che si sono succeduti nei giorni seguenti. Alcune fonti sostengono addirittura che tifosi del Galatasaray abbiano «liberato» una cinquantina di tifosi del Fenerbahçe, finiti nelle mani della polizia. Calore, passione e feroci rivalità a volte sfociate in tragedie sono i tratti caratterizzanti il tifo in Turchia. La tifoseria più marcatamente politicizzata è senza dubbio quella del gruppo Çarsi della squadra del Besiktas, di cui Elif Batuman ha ritratto un elegante profilo nel 2011 per The New Yorker. Di matrice anarchica, il Çarsi condivide con gli altri gruppi la vocazione anti-statalista e soprattutto l’avversione alle forze di pubblica sicurezza. Recentemente, in occasione dell’ultima partita casalinga del Besiktas, l’11 maggio scorso, il Çarsi si è scontrato a più riprese con la polizia.

Nelle manifestazioni di questi giorni, il tifo organizzato è facilmente riconoscibile: alieni alle forze politiche tradizionali, i tifosi hanno indossato sciarpe e magliette delle rispettive squadre e marciato fianco a fianco. L’unione tra i gruppi del tifo organizzato delle squadre di Istanbul – che alcune fonti locali definiscono «storica» e «unica» in trent’anni e passa di storia del tifo – è stata repentinamente seguita da altri gruppi di squadre turche, tra le quali il Bursaspor e il Trabzonspor. Il primo giugno, la terza città turca, Smirne, è stata anch’essa teatro di violenti scontri: anche qui, le tifoserie di Karsiyaka e del Göztepe, accanite rivali, hanno fatto forza comune contro la polizia.