I tempi della telenovela elettorale torinese si sono dilatati a causa della pandemia. Candidati bruciati, altri in pectore, strategie imperscrutabili e un rapporto sofferto tra centro e periferia, in questo caso incarnato da Roma, da un lato, e Torino, dall’altro. Non si contano gli emissari che arrivano sotto la Mole e spingono a un accordo tra M5s e Pd, che gli interessati, a livello locale, non vogliono fare. Tranne Chiara Appendino, sindaca uscente che ha trovato un alleato in Giuseppe Conte, l’ex premier che ieri, inaugurando un giro di consultazioni lungo la penisola, ha incontrato in videoconferenza i rappresentanti torinesi dei Cinque Stelle. Dettando la linea dell’intesa giallorossa, perché ogni scelta territoriale deve essere in sinergia con quelle nazionali. Un processo di trasformazione «dal cui esito – ha sottolineato Appendino – le comunità locali non potranno prescindere».

Che trovi uno sbocco favorevole a Torino è, però, tutto da vedere. Il Pd, almeno al primo turno, non lo vuole affatto e sembrano non essere entusiasti nemmeno i consiglieri pentastellati in Sala Rossa. Un disagio riassunto dalla dichiarazione della capogruppo Valentina Sganga: «Stiamo perdendo tempo prezioso in vista di un appuntamento elettorale troppo importante per la continuità del nostro progetto. Io continuo il mio lavoro sul territorio per non farci trovare impreparati se la strategia proposta dovesse fallire. Già da tempo ho dato la mia disponibilità a correre per il Movimento 5 Stelle e a sostenere la proposta politica del territorio». Non la pensa così Laura Castelli, piemontese, viceministra dell’Economia e delle Finanze: «Per vincere ancora a Torino, serve coraggio. Il coraggio di superare vecchi steccati e di non sprecare il patrimonio che abbiamo creato in questi anni di amministrazione». E invita «gli amici del Pd a essere meno timidi».

Il rilancio giallorosso di Conte-Appendino sembra in ritardo con i tempi. Nonostante si faccia ancora il nome del rettore del Politecnico, Guido Saracco (che già si era tirato fuori dalla corsa), come candidato unitario, il Pd è ormai da settimane impegnato nelle primarie di coalizione. Si svolgeranno il 12 e il 13 giugno e vedono, per ora, i seguenti candidati: Stefano Lo Russo, capogruppo in consiglio comunale sostenuto da buona parte dell’establishment dem, Enzo Lavolta, consigliere comunale Pd appoggiato dai Verdi, Francesco Tresso, consigliere della Lista civica per Torino, e Igor Boni di Più Europa. Tresso e Lavolta stanno raccogliendo le firme necessarie.

Ma i quattro non saranno gli unici candidati. La sinistra che si era raccolta attorno al chirurgo Mauro Salizzoni, vicepresidente del consiglio regionale, che ha, però, deciso di fare un passo indietro, è, infatti, pronta a scendere in campo alle primarie del centrosinistra. Parliamo dell’area formata da Sinistra Italiana, Articolo 1 e Possibile. Uno dei nomi papabili è Roberto Mezzalama, presidente del Comitato Torino Respira, da cui è partito l’esposto che ha dato vita alla prima indagine contro amministratori pubblici (Regione Piemonte e Comune di Torino) in materia di reato di inquinamento ambientale. L’altra ipotesi – se non si candidassero Lavolta e Tresso e rimanesse in campo solo Lo Russo – è Marco Grimaldi, capogruppo di Liberi Uguali e Verdi nonché membro della segreteria nazionale di Sinistra Italiana. Si dicono, infatti, pronti sia allo schema uno contro uno (Grimaldi a sfidare l’attuale capogruppo Pd in Sala Rossa) che allo spariglio.

L’obiettivo è quello di «dare a Torino un governo che affronti l’emergenza della pandemia all’insegna della coesione sociale».
Fuori dal centrosinistra, precisamente più a sinistra, stanno giungendo a conclusione le manovre per costruire un’alleanza tra partiti (Rifondazione comunista e Potere al popolo, in primis) e movimenti sociali. Il candidato a sindaco scelto dovrebbe essere lo storico dell’Università di Torino, fine studioso di Gramsci, Angelo d’Orsi. A inizio settimana dovrebbe essere ufficializzato.

Nel centrodestra gli attriti tra Meloni e Salvini ritardano, invece, l’incoronazione definitiva di Paolo Damilano, imprenditore – che si definisce «civico» ma è sponsorizzato dal leader leghista – candidatosi mesi fa e che da allora tappezza la città con il suo volto.