Dopo aver tentato di annullare ogni forma di dissenso attraverso la super produzione giudiziaria della Procura di Torino – quasi 2.000 fascicoli aperti – dopo aver fatto balenare improbabili e munifiche compensazioni, dopo le varie firme di trattati internazionali, dopo tutto questo e molto altro, l’ambito scalpo del movimento Notav, la “pacificazione del territorio”, risulta ancora lontano da agguantare per chi vorrebbe procedere con le ruspe.

L’ATTIVITÀ MILITANTE e politica contro la grande opera per eccellenza non è mai venuta meno in questi anni: spostata su fronti diversi, lontano dalle luci mediatiche. Ma in occasione del dodicesimo anniversario della “liberazione di Venaus” – quando circa 40mila persone ripresero il controllo del territorio conquistato dalle forze dell’ordine nella notte del 5 dicembre a suon di manganellate – circa 500 Notav si sono dati appuntamento ai lati est ed ovest del cantiere di Chiomonte, nel cuore della notte. Un numero importante, se si pensa alle condizioni climatiche estreme, al terreno impervio dato che ci si muove su sentieri disseminati di ostacoli posizionati dall’esercito posto a difesa del cantiere; nonché al buio assoluto e al rischio di una denuncia per violazione di un “sito di interesse strategico nazionale”, data la perdurante presenza di una estesa zona rossa.

Nonostante ciò sotto i fiocchi di neve trasportati dalla bufera che imperversava in alta val Susa la scorsa notte, i manifestanti hanno marciato fino alle reti che circondano il cratere scavato nella montagna, dove hanno sparato alcuni petardi e fuochi artificiali colorati.

Ovviamente non si è trattato di un assalto: il cantiere è una fortezza presidiata giorno e notte dalle forze dell’ordine, protetto da sofisticati mezzi di rilevamento notturno. L’operazione attuata dal movimento Notav aveva come fine ricordare all’Italia quanto in val Susa tutti sanno perfettamente: la pacificazioni sul Tav non c’è.

AL LANCIO DEI FUOCHI artificiali la polizia ha risposto sparando lacrimogeni che hanno disperso il corteo notturno. Sulla strada del ritorno sono stati fermati tre giovani.
L’assenza dell’agognata pacificazione scaturisce anche da livello di complessità progettuale dell’intera opera, diventata una sorta di zig zag sulle Alpi al fine di incrociare il più tardi possibile l’opposizione popolare in valle.

Non solo, perché la volontà francese sul Tav è un rebus: Macron si muove su principi puramente econometrici a cui vorrebbe rimanere coerente e che, ovviamente, metterebbero in secondo piano la Torino-Lione e il raddoppio del canale sud della Senna. Secondo Parigi, attuare l’intero programma infrastrutturale disegnato durante gli anni di Sarkozy e Hollande darebbe come risultato la bancarotta dello stato. Presso i cosiddetti «Patti generali dei trasporti», istituiti su ordine del presidente Macron, si stanno tenendo consultazioni che si concluderanno nella primavera del 2018. Se manterranno il tunnel di base italo francese – pagato in misura precipua dall’Italia nonostante il maggior sviluppo in territorio francese – e verranno sforbiciate le tratte a monte, si incorrerà nell’effetto imbuto: un enorme tunnel che termina su un tratto molto più modesto.

IN QUESTO CONTESTO il cantiere italiano è fermo da circa tre mesi. La variante di progetto è caratterizzata da un elevato livello di complicazione che risponde a motivazioni di ordine pubblico. Il tunnel geognostico attuale dovrebbe servire nell’ultima parte a stivare le rocce amiantifere che si incontreranno scavando verso l’Italia, in prossimità di Susa. Verrà realizzato un secondo tunnel – parallelo a quello «concluso» – al termine del quale un grande camerone ospiterebbe il montaggio delle due talpe che muoveranno verso l’Italia: ci sarà quindi una sorta di groviera di gallerie di ogni diametro. Lo svincolo autostradale di Chiomonte, invece, previsto come seconda opera propedeutica al tunnel di base perché sarà la pista su cui correranno le centinaia di migliaia di tir che porterebbero via lo smarino, non è ancora stato bandito. I tempi di realizzazione del Tav in val Susa si allungano quindi a dismisura.