«Faremo funerali di stato per le vittime di quello che è avvenuto, sono tutte scelte che stanno in una logica di compartecipazione a una sofferenza drammatica, una tragedia immane, che in queste dimensioni non è mai accaduta nel Mediterraneo. Le parole che abbiamo detto a tutti coloro che abbiamo incontrato in questi giorni sono anche le parole di scuse per le inadempienze del nostro paese rispetto a una tragedia come questa».

Queste le parole pronunciate da Enrico Letta il 9 ottobre scorso. Ma quello che si è svolto ad Agrigento su di un molo che non ha visto, per fortuna, mai approdare cadaveri di migranti, non è stato un rito funebre ma una semplice cerimonia che ricorda chi è morto traversando il mare. Una cerimonia «in absentia» delle bare, in contumacia, verrebbe da dire, dato che quei corpi erano rei del reato di immigrazione clandestina. Seppellito in località segreta, per ora, il corpo di Priebke, sepolti in loculi sparsi e spersi per la Sicilia con un numero al posto della lapide, i corpi dei migranti.

A questo squilibrato parallelo la cerimonia avrebbe voluto porre il sigillo, silenziare con la presenza del Governo le polemiche legate alla mancanza di rispetto dovuta alla tragedia che ha colpito centinaia di famiglie di qua e di là dal Mediterraneo. E qui si svela il volto ipocrita ma soprattutto la fragilità dei poteri costituiti, che mettono la sordina allo scandalo della mancata accoglienza senza nemmeno il coraggio di un riconoscimento, di un riguardo, per le vittime, come invece il funerale di Stato avrebbe mostrato.

Rispetto e riguardo hanno la stessa radice, significano «guardare due volte», per accorgersi che il volto che hai di fronte è il tuo stesso volto, il corpo nella bara è il tuo stesso corpo che solo un caso fortuito ha voluto avesse un altro destino. Ma è proprio questo riconoscere che è mancato, che si è fatto mancare: un funerale, un rito funebre dinanzi alle bare, ne avrebbe invece dato testimonianza. Ma è possibile il riconoscimento dell’alterità migrante quando sono in gioco equilibri politici così fragili come quelli che oggi governano il nostro paese? Sarebbero veramente stati possibili funerali, addirittura di Stato, ancora vigente la Bossi Fini? La risposta è chiara, e la cerimonia di Agrigento è solo l’ombra di ciò che avrebbe dovuto essere e non è stato.
Le parole che il Ministro degli Interni, contestato da alcuni rappresentanti delle associazioni di accoglienza dei migranti e portato via, ha pronunciato rispetto alla «difesa delle nostre coste», chiudono la porta a quella riforma della legge sull’immigrazione che, nello stesso momento, a Roma, il Sindaco di Lampedusa Giusi Nicolini e il Senatore Luigi Manconi chiedevano al Presidente della Repubblica.

Agrigento è una occasione mancata anche perché mancavano i parenti delle vittime, che la pelosa protezione di Stato non ha voluto portare il quel luogo, mentre, invece, erano presenti emissari di quei governi da cui molti, tutti, sono scappati e dunque, per evitare tardivi riconoscimenti e altri drammi, i profughi sono stati lasciati nei Centri di Accoglienza.

Il presidente dell’associazione Habeshia, che si occupa dell’assistenza dei profughi eritrei in Italia, Mussie Zerai, ha scritto una lettera alla ministra Kyenge per chiedere urgentemente un incontro: «L’ambasciatore eritreo e i suoi funzionari si aggirano indisturbati a Lampedusa tra i richiedenti asilo, raccogliendo dati e fotografie per la schedatura dei fuggitivi senza che nessuna autorità italiana intervenga», mentre l’Associazione Culturale Askavusa di Lampedusa sceglie di restituire «al Presidente della Repubblica le medaglie al valore che l’isola aveva ricevuto nel 2011 e 2012», con la motivazione che troppa è la distanza tra ciò che si promette e ciò che si mantiene. Un paradosso tra gli altri, come paradossale è l’aiuto che si continua a fornire a questi governi senza che la politica estera dell’Italia prenda in minima considerazione la precondizione dei rispetto dei più fondamentali diritti umani.

Il prossimo Consiglio europeo sarà dedicato ai temi dell’immigrazione, e se non si darà spazio sufficiente a questi problemi l’Italia non sarà soddisfatta; così ancora ha dichiarato il premier Letta insieme al suo omologo greco. Vedremo presto se alle parole seguiranno i fatti e quali.