La «crisi delle banche» diventa, di giorno in giorno, sempre più «sistemica». Gli ultimi sviluppi della faccenda inducono a pensare che non basteranno il salvataggio della Silicon Valley Bank negli Stati Uniti e l’acquisto di Credit Suisse da parte di Ubs per chiudere la partita. Né il fatto che la Fed abbia iniettato nel sistema bancario americano 300 miliardi di dollari in pochi giorni (50 miliardi la Banca Nazionale Svizzera).

Nel frattempo, il fuoco si è spostato in Germania. Ieri, il titolo della Deutsche Bank è arrivato a perdere fino al 15% (chiusura a -8,7%), altre banche tedesche, come la Commerzbank, oltre il 4%. Specularmente, sono schizzati alle stelle i cosiddetti Credit default swap (Cds) dello stesso istituto, derivati utilizzati per la copertura del rischio, nel caso di insolvenza di una banca. 220 punti base dai 134 di mercoledì. Giù, a catena, tutte le borse europee, Milano di nuovo maglia nera (-2,22%).

A SCATENARE LA FUGA da Deutsche Bank è la notizia che l’istituto non avrebbe ricomprato alcune obbligazioni subordinate At1, esercitando quella che si chiama «opzione call». Queste obbligazioni, salite alla ribalta con il crack di Credit Suisse, sono strumenti che le banche utilizzano per consolidare i propri bilanci (debito). Non hanno scadenza, ma solitamente vengono riacquistate emettendone di nuove. Chi le compra viene remunerato bene, ma sa anche che in caso di fallimento della banca può perdere tutto. Come è accaduto con i 17 miliardi di franchi azzerati in una notte da Credit Suisse (con una forzatura: il rimborso di questi bond doveva precedere quello degli azionisti). Ma stiamo parlando della classica goccia che ha fatto traboccare il vaso. Il titolo di Deutsche Bank, nel solo mese di marzo, aveva già perso oltre il 30% del suo valore.

UN PROBLEMA ANNOSO. È da tempo, infatti, che si parla dell’istituto tedesco come di un gigante malato. Una banca con un’esposizione in derivati stratosferica: ben 48,26 trilioni di euro nel 2018, di cui 70 miliardi classificati come «tossici». Il motivo per cui il Fondo Monetario Internazionale l’aveva definita «la più grande fonte potenziale al mondo di shock esterni per il sistema finanziario».

Nodi che vengono al pettine. Guerra, sanzioni, crisi energetica e inflazione stano scuotendo dalle fondamenta gli assetti del capitalismo mondiale. Le banche centrali, attaccate al protocollo, hanno sottovalutato finora le conseguenze della loro politica restrittiva sull’economia e sul sistema bancario. Tassi che salgono, bond che si svalutano, bilanci bancari che vanno in sofferenza. Un quadro delicato, dove basta una scintilla per incendiare la prateria. Prima le banche regionali americane, poi la seconda banca elvetica, ora l’ammiraglia tedesca Deutsche Bank. In mezzo, un intero sistema. «Il settore bancario dell’area dell’euro è resiliente perché dispone di solide posizioni patrimoniali e di liquidità», ha dichiarato ieri Christine Lagarde al Consiglio europeo, assicurando che Eurotower è «attrezzata per fornire liquidità al sistema finanziario dell’area dell’euro, se necessario». Non poteva dire diversamente. È il momento di infondere fiducia.

Intanto, su Credit Suisse e Ubs, ora costituenti una sola banca, si abbatte l’indagine del Dipartimento di Giustizia Usa. Avrebbero aiutato miliardari russi, tra i loro principali clienti negli ultimi anni (60 miliardi di depositi, prima della guerra), a eludere le sanzioni. Ciò che fa riflettere, però, è che le richieste d’informazioni ai due istituti da parte delle autorità Usa sarebbero arrivate prima che scoppiasse il bubbone sui mercati. Quindi anche prima del diniego dei sauditi di mettere altri soldi nella banca. Americani, sauditi, oligarchi. E poi il crollo. Con la guerra e le tensioni geopolitiche sullo sfondo.

SITUAZIONE INTRICATA, non c’è che dire. Mentre in tanti si chiedono se siamo alla vigilia di un nuovo 2008. Il quadro è diverso, come diverse sono le fonti d’innesco della crisi. Non ci sono bolle immobiliari, ma il combinato disposto dell’accumulo di derivati spazzatura e della svalutazione dei bond per effetto delle scelte delle banche centrali non può essere trascurato. Anche perché fuori, nel mondo, il clima è sempre più arroventato.