Una parte considerevole del groviglio di dilemmi culturali, resistenze e fideismi che negli ultimi decenni si è addensato attorno alla letteratura greco-latina sembra riguardare, in fondo, un interrogativo: i classici ci parlano ancora? E se ci parlano, riescono a farlo da soli o hanno bisogno di un critico che li renda comprensibili al di fuori di una cerchia ristretta? Il problema della mediazione riguarda certamente il canone degli autori «grandi» – a propria volta riflesso di un divenire millenario, mai davvero sopito – ma diventa ancor più pressante nel caso di tradizioni generalmente ritenute «difficili», come quella grammaticale, antiquaria o tecnica.
In questo quadro, non si può che accogliere con interesse la pubblicazione di una nuova edizione degli Stratagemmi di Sesto Giulio Frontino in una collana divulgativa come quella dei «Classici Greci e Latini» Rusconi diretta da Anna Giordano Rampioni (pp. CXXIII-388, € 24,00). A curare introduzione, traduzione e note di commento è una specialista della letteratura poliorcetica e stratagematica come Immacolata Eramo, che assieme a Giusto Traina, autore della Premessa, offre un necessario viatico a chi si voglia accostare a questa peculiare opera. L’edizione incrocia l’agilità propria di una collana divulgativa a un notevole impegno scientifico, evidenziato, tra le altre cose, dalla bibliografia nutritissima e dalla puntuale nota critica dedicata alla tradizione manoscritta.
L’introduzione tratteggia un’efficace mappatura dei principali nodi dell’opera, a partire dalla sua peculiare genesi. Composta tra gli anni ’80 e ’90 dopo Cristo, si tratta di una raccolta di quasi seicento aneddoti relativi a stratagemmi militari attuati da comandanti (illustri e non), che l’autore aveva concepito come repertorio esemplare posto a corredo di un manuale di strategia militare, oggi perduto.
La finalità essenzialmente pratica dell’opera è evidente sul piano linguistico: il latino di Frontino non ha velleità letterarie, mira a concisione e chiarezza, costruendo ciascun exemplum su un’ossatura sintattica particolarmente ripetitiva, quasi schematica. Eramo rende efficacemente questa prosa piana, senza rinunciare talvolta a deviare (com’è doveroso) da questo andamento modulare a tutto vantaggio della leggibilità, e d’altra parte dimostrando la propria lunga esperienza di interprete del lessico militare latino. Le note di commento si concentrano sul regesto e la comparazione sintetica delle fonti alternative, con rimandi bibliografici generosi. Il risultato è un’edizione ricca ma particolarmente accessibile, che si pone il lodevole obiettivo di rendere fruibile ai lettori meno esperti un autore che difficilmente entra negli scaffali di studenti e appassionati, ma che offre, se inquadrato in modo competente, uno sguardo importante sulla civiltà politica e culturale della Roma imperiale.
A guidare le intenzioni di Frontino, infatti, non è il gusto per l’erudizione, ma un intero e più profondo complesso etico. Uomo politico di lungo corso, capace di attraversare indenne decenni turbolenti, Frontino incarna un modello di coscienzioso servitore dello Stato caro all’ideologia della classe dirigente nell’età dei Flavi e degli imperatori per adozione. L’ideale di chi, nella mastodontica macchina dell’impero, fa ruotare con perizia e diligenza l’ingranaggio che gli è stato assegnato, destreggiandosi abilmente tra le insidie del potere assoluto. È il paradigma di ‘funzionario perbene’ che, più notoriamente, Tacito individua in suo suocero Giulio Agricola nella biografia a lui dedicata, dove non a caso a Frontino sono riservate parole di elogio (Agricola 17, 2 «un grande uomo, per quanto i tempi lo permettessero»).
Gli Stratagemmi sono interamente concepiti entro questa logica dell’utilità pubblica, come un compendio agile e funzionale destinato ai quadri militari dell’impero, «agli uomini impegnati», che non hanno tempo di andare in cerca di «singoli esempi sparsi nell’immensa mole degli scritti di storia» (così nella praefatio del I libro). Come accade nell’altra sua opera superstite dedicata alla gestione degli acquedotti – questa sì di taglio eminentemente tecnico – Frontino si impegna nella composizione al preciso scopo di porre al servizio della classe politica la propria esperienza, con la speranza che i suoi pari facciano altrettanto. Ne risulta un repertorio dalla peculiare natura aperta, al quale l’autore, pur rivendicando il proprio ruolo di primo iniziatore del genere stratagematico a Roma, invita anche altri a partecipare, come eclissandosi in una folla di volenterosi: «dal momento che ho intrapreso questa impresa, così come le altre, più per l’utile altrui che per la mia fama, riterrò un aiuto, piuttosto che un biasimo, i contributi di altri a questo lavoro».
La destinazione pratica degli Stratagemmi, d’altra parte, consente di mettere a fuoco le più generali questioni culturali implicite nel punto di vista di Frontino sulla storia di Roma. La prospettiva che anima questa raccolta è essenzialmente diversa da quella propria della storiografia latina, generalmente orientata a una lettura moralistica e nazionalistica delle vicende belliche. Com’è noto, la morale quiritaria si alimentava di un ideale di fair play basato sullo scontro in campo aperto piuttosto che sul sotterfugio, sulla granitica disciplina piuttosto che sull’astuzia più affilata – appannaggio quest’ultima, secondo uno stereotipo diffuso, di popoli sapienti ma codardi come i Greci, o infidi come i Cartaginesi. Frontino non è naturalmente estraneo a questa mentalità, ma la selezione dei suoi aneddoti dimostra il pragmatismo del tecnico disposto a mettere da parte l’intransigenza tutta teorica dei maiores per mirare all’unico obiettivo: individuare i mezzi più adatti a raggiungere la vittoria militare. Ed ecco quindi che nella sua affollata galleria, tra i Camilli, i Curi e i Fabrizi, fanno la loro comparsa, benché saltuaria, anche personaggi che la tradizione storiografica aveva stigmatizzato: Tarquinio il Superbo, Annibale, Mitridate, Viriato, Sertorio. Personaggi neri, inscritti nella cultura romana come prototipo stesso del tiranno, del nemico, del ribelle; agli occhi di Frontino, più semplicemente exempla, da giudicare secondo la loro utilità.
Non stupisce che questo punto di vista smaliziato abbia attirato, nei secoli, una vasta schiera di lettori. Proprio la prospezione sul vasto Fortleben di un’opera oggi unicamente appannaggio degli specialisti è uno degli elementi più interessanti di quest’edizione. Gli Stratagemmi fornirono non soltanto un deposito ricchissimo di aneddoti sul glorioso passato di Roma a eruditi e intellettuali (da Paolo Diacono a Petrarca), ma divennero parte integrante dell’ossatura politica, ideologica e militare su cui si fondarono le signorie italiane. L’età dei condottieri e dei capitani di ventura, l’Umanesimo militare che infiammò la penisola fra Tre e Quattrocento si nutrì voracemente della lezione di Frontino. Ricollocata, per gli accidenti della tradizione, nella sua originaria posizione di appendice, l’opera circolò a corredo dell’Epitoma di Vegezio e confluì così in quel complesso di letture che in molte corti d’Italia, dalla Milano viscontea alla Napoli di Alfonso V, costituì una sorta di speculum principis.
Questa vasta eco politica e culturale, testimoniata tra l’altro da una ricca tradizione di volgarizzamenti, culminò nell’opera di Niccolò Machiavelli, che si servì degli Stratagemmi (oltre che dell’Epitoma di Vegezio) per la composizione del trattato dialogico Dell’arte della guerra (Firenze 1521). Frontino entrava così definitivamente a far parte della grande fucina dell’età moderna, contribuendo alla costruzione del pensiero politico occidentale in modo forse più sotterraneo rispetto ad autori prominenti del canone letterario, ma non per questo meno degno di nota.