Jeremy Hammond è un attivista un hacker e un whistleblower di Chicago. Nel 2003 aveva fondato il sito di formazione sulla sicurezza informatica HackThisSite, con chiaro riferimento al libro di Abbie Hoffman, Steal This Book, «Ruba questo libro», per fornire agli utenti una piattaforma legale dove esercitare le loro abilità di hacking; l’organizzazione ha una base di utenti che va oltre il milione ma non è per questo che Hammond, ora 34ennne, è stato condannato a 10 anni detenzione di galera, da quando ne aveva 28.

È stato nel 2013 che il tribunale di New York ha condannato Hammond per frode informatica per aver hackerato la società di intelligence privata Stratfor ed aver rilasciato i dati tramite WikiLeaks.

Nel 2012 Hammond aveva consegnato a Wikileaks circa 5 milioni di email provenienti dai server della Stratfor, e dagli armadi di queste email sono emersi diversi scheletri, come l’accusa di aver spiato alcune delle vittime del disastro di Bhopal per conto della Dow Chemical, o il mandato che la Stratfor aveva ricevuto dal Dipartimento di Pubblica Sicurezza del Texas, per infiltrare il gruppo di Occupy Austin, o ancora lo scambio di email dichiaranti la volontà del governo americano di agire contro WikiLeaks e Julian Assange.

I documenti consegnati da Hammond e poi pubblicati da WikiLeaks hanno mostrato la collaborazione della Stratfor con corporation e con governi, e non solo quello degli Stati Uniti, come il monitoraggio della criminalità organizzata in Italia o i presunti legami tra Gazprom ed Eni.

«Sono rimasto particolarmente colpito dalle azioni eroiche di Chelsea Manning – ha detto Hammond durante la sua dichiarazione all’udienza finale – che ha rivelato le atrocità commesse dall’esercito americano in Iraq e in Afghanistan.

Si è assunta un enorme rischio personale nel far trapelare questa informazione, convinta che il pubblico avesse il diritto di sapere e con la speranza che il suo gesto potesse servire a fermare quelle atrocità.

Gli atti di disobbedienza civile e azione diretta per cui vengo condannato oggi sono in linea con i principi di comunità e di uguaglianza che hanno guidato tutta la mia vita, sapevo benissimo che quello che stavo facendo era illegale e che correvo il rischio di finire in una prigione federale, ma ho sentito l’obbligo di utilizzare le mie capacità per portare alla luce la verità e mostrare le ingiustizie che vengono compiute».

Hammond era entrato in aula con i capelli sciolti e il pugno alzato, aveva letto la sua dichiarazione con voce ferma; poche ore dopo, come reazione alla sentenza, WikiLeaks aveva reso pubblico l’intero database delle mail della Stratfor.