Mille miliardi mancano nelle casse dei 27 paesi europei, a causa della fronde fiscale o della cosiddetta “ottimizzazione” messa in atto soprattutto dalle multinazionali. Questi soldi, in un periodo di austerità dei bilanci, servirebbero per rilanciare l’occupazione, soprattutto giovanile, in un’Unione che conta 26 milioni di disoccupati, ha ricordato ieri il presidente dell’Europarlamento, Martin Schultz, all’apertura del Consiglio europeo. Ma, al di là di una presa di coscienza, è difficile arrivare ad approvare delle misure precise, malgrado l’affermazione di François Hollande, secondo il quale “il tempo dell’impunità (degli evasori) è finito”. Il Consiglio europeo di ieri mirava soprattutto a trovare un fronte comune della Ue per il prossimo G8, che si terrà il 17 e 18 giugno in Irlanda del Nord, seguito dal G20 di Pietroburgo in Russia a settembre. La lotta alla frode fiscale e ai paradisi è difatti mondiale. Uno scossone, percepito anche nella Ue, è arrivato dagli Usa di Obama, dove lo scandalo della Apple, messo in luce da un’inchiesta del Senato, ha contribuito ad accelerare sul fronte della trasparenza, dopo l’approvazione del Fatca (Foreign Account Tax Compliance Act), che obbliga a rivelare alle imposte i conti all’estero degli statunitensi. Ma sulla fronde fiscale, la Ue deve prima di tutto deve difendersi da se stessa.

Ieri, i due principali imputati – Austria e Lussemburgo – non hanno ceduto nulla. A parole, Jean-Claude Juncker ha ripetuto che il Lussemburgo “abbandonerà il segreto bancario”. Ma c’è una condizione: bisognerà aspettare la fine del negoziato con i rifugi fiscali presenti in Europa ma extra-Ue, prima di tutto la Svizzera, seguita da Liechtenstein, Montecarlo, San Marino, Andorra. Il Consiglio ha confermato ieri il mandato dato alla Commissione dall’eco-fin del 14 maggio alla Commissione per trattare con i cinque paradisi. Entro fine anno, la Ue potrebbe aver approvato la direttiva sul risparmio, che estende i controlli, già presenti in forma limitata dal 2005 attraverso scambi automatici di informazioni tra le amministrazioni fiscali. L’Austria deve modificare la Costituzione per abolire il segreto bancario e nel governo di coalizione ci sono posizioni opposte, tra la ministra delle finanze liberale che non ne vuole sapere e il primo ministro socialdemocratico più aperto. Ma l’ottimizzazione fiscale nella Ue ha anche un altro volto: la Apple, per esempio, ha “ottimizzato” gli utili, come accusa il Senato Usa, grazie alla sede a Cork in Irlanda. L’Irlanda è il paese europeo che ha il più basso tasso di imposizione sulle società (12,5%) e che non ha mollato, malgrado gli aiuti ricevuti dalla Ue ultimamente.

Per il Senato Usa, Apple grazie all’Irlanda ha evitato la tassazione su 74 miliardi di dollari di utili tra il 2009 e il 2011. La Gran Bretagna, che ha sempre difeso Dublino, sta prendendo un po’ di distanze. Ma anche Londra conserva una posizione ambigua, malgrado la lettera che il premier David Cameron ha spedito a dieci dominions della corona, paradisi fiscali, dalle Caiman a Gibilterra. La Ue, comunque, affronterà la questione dell’ottimizzazione fiscale delle multinazionali solo a dicembre.

La ricchezza mancante dovuta alla frode potrebbe servire per investire in un settore-chiave per la competitività europea: l’energia. Era questo l’altro grande argomento del Consiglio. Ma anche su questo fronte, domina la timidezza. Il mercato dell’energia è frazionato in Europa a livello nazionale, con costi che arrivano al triplo (l’Italia, campione dei prezzi alti, rispetto alla Svezia, per esempio, il doppio della Francia). Hollande propone “una comunità europea dell’energia”, ma nei fatti per il momento nessuno intende cedere la sovranità su questo fronte. Il rischio è una crescente dipendenza dell’Europa dall’import, “nel 2035 sarà superiore all’80%”, afferma il presidente del Consiglio Ue, Herman Van Rompuy. Il commissario all’Energia, Günther Öttinger spinge verso lo sfruttamento dello shale gas (gas di argille), che potrebbe trovarsi in Germania, Polonia, Gran Bretagna, Spagna, Ungheria, Romania o Lituania (l’Italia non ha neppure questa speranza). Il commissario passa sopra i forti rischi di inquinamento dovuti all’estrazione, mentre nei fatti l’Europa torna al carbone, esportato a prezzi ridotti dagli Usa (ormai lanciati sullo shale gas), mandando all’aria l’impegno di ridurre del 20% le emissioni di Co2.