Venerdì soffia sulle 47 candeline della sua nuova vita. E domenica conferma ufficialmente il ritorno a Roma. Debora Serracchiani (già vice di Renzi e sempre nella segreteria nazionale Pd) non si candida al secondo mandato da governatrice del Friuli perché conta su un seggio sicuro in parlamento. Una decisione ratificata già a fine ottobre dal caminetto dem con la segretaria regionale Antonella Grim, l’ex sindaco di Trieste Roberto Cosolini, l’ex presidente della Regione Renzo Travanut, il consigliere regionale Renzo Liva, il sindaco di Tricesimo Giorgio Baiutti e soprattutto l’erede designato Sergio Bolzonello (attuale vice presidente della Regione).

Si chiude così la parabola politica a Nord Est della “ragazza romana” con la laurea in Giurisprudenza che si trasferisce a Udine a metà degli anni ’90. Serracchiani debutta come consigliere provinciale Ds nel 2006 per poi diventarne segretaria cittadina. Il 21 marzo 2009 parla all’assemblea nazionale dei circoli Pd: 13 minuti più che applauditi, con l’indice puntato sul vertice veltroniano. Così il segretario reggente Dario Franceschini la premia con un posto in lista alle europee: Debora colleziona 144.558 preferenze, 73.910 soltanto in Friuli. Infine, da Bruxelles approda al palazzo del Llyod Triestino: alle Regionali 2013 supera per appena 2.051 voti su oltre 200 mila il governatore uscente Renzo Tondo.

Ma con Serracchiani al governo (e Renzi padrone del Pd) fioccano le clamorose sconfitte. Le urne prima restituiscono Trieste al centrodestra e poi addirittura regalano alla Lega il “municipio rosso” di Monfalcone. Negli ultimi mesi Serracchiani oscilla fra incertezze, commozioni e polemiche. Fino alla gaffe dello scorso maggio: «La violenza sessuale è un atto odioso e schifoso sempre, ma risulta socialmente e moralmente ancor più inaccettabile quando è compiuto da chi chiede e ottiene accoglienza nel nostro Paese».

Ormai manca solo il discorso d’addio davanti alla direzione regionale Pd, domenica pomeriggio a Udine. In questi giorni Serracchiani si è divisa fra il treno di Renzi, il tour istituzionale e gli amici più fidati. Sulla carta, la strategia è univoca: passaggio di testimone a Bolzonello. Tuttavia, il dibattito interno al Pd friulano potrebbe riservare sorprese. Se non altro perché il regolamento concede fino al 21 novembre candidature alternative con il sostegno del 10% dell’assemblea o 150 firme di iscritti. Dunque, c’è il rischio per Bolzonello di dover affrontare le primarie il 3 dicembre prima di mettere in campo la coalizione elettorale con i reduci del civismo formato Illy, il sindaco uscente di Udine Furio Honsell e l’ex Sel Loredana Panariti.

È già spianata, invece, la campagna elettorale delle comunali di Udine. Unanimità sulla candidatura a sindaco di Vincenzo Martines, una carriera fra Quercia e Lega Coop, dal 2003 al 2013 vice sindaco, attualmente consigliere regionale. «Voglio ripristinare un cantiere che coinvolga tutta l’area progressista nell’elaborazione di un progetto per la città frutto di un nuovo modo di dialogare con i cittadini» è la prima dichiarazione, che punta a coinvolgere non solo gli esuli di Mdp ma anche l’area alternativa che spazia da Possibile al Prc.

Martines è pronto anche ad accettare un’eventuale sfida preliminare, all’interno della sua coalizione tutt’altro che a vocazione maggioritaria. Del resto, la “difesa” di Udine diventa più che cruciale anche sullo scacchiere delle regionali nel dopo Serracchiani.