Fin dalle prime battute l’amicizia tra Max Frisch e Uwe Johnson non si presentò priva di asperità: «Il modo in cui lei si è comportato durante il nostro incontro a Berlino mi ha colpito (…) c’è qualcosa che mi deve dire? E allora la dica. Non ho intenzione di accettare un altro incontro come quello di Berlino», scrive Frisch piuttosto irritato dopo una cena con Johnson a casa di Günter Grass. Johnson risponde dapprima con una lettera molto dura, che però non spedisce. Ne manda invece una conciliante, per ricucire lo strappo.
Nonostante le scuse e benché i due scrittori si incontrassero spesso in occasioni legate all’attività della comune casa editrice, la Suhrkamp, sarebbero passati altri sei anni prima che lo scambio epistolare decollasse, costituendosi come uno dei carteggi più significativi del secondo Novecento tedesco: esce in questi giorni, con il titolo Max Frisch – Uwe Johnson, una difficile amicizia Corrispondenza (a cura di Mattia Mantovani) presso un piccolo editore della Svizzera italiana (Armando Dadò Editore, pp. 304, s.i.p. ). Lo compongono centoventicinque lettere, corredate di numerosi interessanti allegati (rispetto all’originale tedesco del 1999, manca la revisione editoriale operata da Johnson sul Diario della coscienza e poco altro), che i due scrittori lontani tra loro per età e per appartenenza geografica (Frisch era nato nel 1911 a Zurigo e Uwe Johnson nel 1934 a Cammin in Pomerania, oggi Polonia) si scambiano nell’arco di quasi vent’anni, tra il 1964 e il 1983).
Nel gennaio del 1971, Johnson accetta di assumersi la lettura e il relativo editing del Diario della coscienza 1966-1971 (pubblicato da Feltrinelli, oggi non più disponibile): conosce i propri limiti, dunque accoglie questo compito non senza timori: «Per mia sventura ho fama di essere arrogante» scrive a Frisch e poi subito mette l’amico svizzero di fronte a quello che potrebbe essere il tenore delle sue argomentazioni, aggiungendo: «E io non potrò che comprenderla quando dirà: ma come si permette questo giovincello!» In realtà Frisch è convinto che Johnson farà un buon lavoro: «Dovrà essere severo con me», scrive affidandogli il suo Journal, «da Lei posso accettarlo».
Nelle lettere dei primi anni settanta i due scrittori getteranno le basi di un rapporto che, sebbene non confidenziale (continueranno a darsi del lei fino alla fine), sarà tuttavia segnato da una grande stima reciproca e da una costante onestà intellettuale.
Lettera dopo lettera Frisch si affiderà infatti sempre più allo scrittore più giovane nella valutazione etica ed estetica dei propri scritti. La franchezza dell’amico rassicura lo scrittore più anziano anche se le loro posizioni rispetto alla letteratura rimangono lontane: Frisch è preoccupato perché Johnson vive sempre più all’interno di quel concatenamento di invenzione – ricordo – deformazione della memoria, di cui si compongono il romanzo in quattro volumi I giorni e gli anni e l’esistenza della protagonista Gesine Cresspahl; d’altra parte lo ammira per lo scrupolo e per il senso di responsabilità che dimostra nei confronti dei suoi personaggi e della storia del Novecento.
«Caro Uwe, uno dei presupposti imprescindibili, abbiamo detto passeggiando per strada» – scrive Frisch il 16 marzo 1976 dopo una visita a Johnson – «è la presunzione, una sorta di spudoratezza. In caso contrario non si fanno parlare figure fittizie, non le si fa agire, nello specifico di Gesine: non le si fa sposare. Ho lasciato Sheerness non senza preoccupazioni».
Entrambi lavorano sul confine tra realtà e finzione, ma se Frisch lo fa spingendo i personaggi della sua vita reale all’interno della narrazione, Johnson assume la posizione del testimone calandosi completamente nel mondo fittizio, che per lui ha carattere di «verità storica»: «Caro signor Frisch! Visto che ha indicato un indirizzo a New York, 300 Central Park West, posso solertemente permettermi di darle il benvenuto in una zona della città che amministro in nome e per conto della mia mandante Gesine Cresspahl».
Di certo, le considerazioni più interessanti del carteggio nascono intorno a Montauk, il racconto in cui Frisch, narrando un fine settimana a New York in compagnia di una giovane donna, ripercorre dettagli della propria relazione con Ingeborg Bachmann, sua compagna dal 1958 al 1962, e riflette sull’adulterio della moglie Marianne e sui propri. A Johnson, Frisch chiede di leggere la prima versione e poi di scriverne a Marianne: «Cara Marianne» – dice tra le altre cose Johnson in una lettera molto dettagliata che sottolinea le tappe dell’opera di Frisch sotto il profilo etico-estetico: «Chiunque conosca l’opera di questo scrittore, avrà a che fare con lui nell’attesa di incontrarvi se stesso quale esperienza non dissimulata. L’autore sa cosa gli hanno mostrato le persone della sua vita, e lo mostra in queste stesse persone (…) L’autore ha portato avanti il procedimento della sincerità. Com’era da aspettarsi». Johnson difende l’opera dell’amico pur senza condividerne sempre le scelte, la difende sul piano della priorità della letteratura rispetto alla vita. E conclude: «Cara Marianne, (…) Penso di sapere cosa avresti preferito sentire, e so che non è quanto ti ho scritto. Ho avuto la possibilità di descriverti cosa penso realmente del libro oppure di ferirti col mio silenzio».
Frisch, da parte sua, pur convinto del grande valore letterario dei Giorni e gli anni, non svolgerà mai nessun commento specifico al riguardo, ma ricambierà, almeno in parte, il gesto di Johnson qualche anno più tardi, incoraggiandolo nell’impostazione che vuole dare alle sue Lezioni di Francoforte: «Sono curioso di leggere le sue lezioni. Prendere “semplicemente” spunto dalle sue esperienze sarebbe non solo lecito, ma anche perfettamente consono all’idea delle lezioni di poetica». Scrive Frisch l’11 gennaio 1979, rispondendo alla domanda: «Troverebbe discutibile se mi limitassi a prendere spunto dalle mie esperienze (il mio «caso»)?» E Frisch aggiunge: «Il confine è fissato dal pudore dell’autore, quindi è soggettivo».
Sullo sfondo di questa discussione, tutta interna ai processi della scrittura e spesso condotta con toni ironici e lievi, ci sono la vecchiaia di Frisch, il fallimento della sua relazione con Marianne: «Il mio soggiorno qui è piuttosto insensato» – scrive Frisch nell’estate del 1975 – «è un’esercitazione al silenzio, non incontro nessuno – nemmeno me stesso». E c’è soprattutto il silenzio pesante di Johnson, sempre più risucchiato nel «buco nero», di un lavoro letterario che finisce per erodere la sua stessa esistenza: «Caro Frisch» – scrive il 3 ottobre 1979 – «Mi manca di nuovo quel coraggio che pertiene ad ogni scrittura e in primo luogo a quella di una lettera».
Se le discussioni relative al lavoro occupano lo spazio principale nel carteggio, non sono tuttavia l’unico argomento. Si stabiliscono i prossimi incontri a Berlino, New York, Berzona, Zurigo; si parla di aiuti pratici (nel 1972, quando la coppia Frisch si trasferisce a Berlino, Uwe Johnson si occupa dell’appartamento, e dell’arredamento); si parla anche, e molto, di denaro perché Frisch animato da una generosità disinteressata, sostiene economicamente il giovane amico.
In Germania la pubblicazione dei carteggi degli autori Suhrkamp permette oggi al lettore di calarsi in un’epoca in cui la casa editrice e i suoi autori costituivano, per l’intera area germanofona, una sorta di istanza morale. Un vero peccato che l’epistolario sia un genere poco considerato dall’editoria italiana.