Un network contro il presidente. Così il «New York Times» di giovedì apriva la sezione business, il titolo di prima accompagnato da una foto a tutto campo di Jeff Zucker, il presidente di CNN, affiancata da una colonna di tweet firmati da Trump, suo figlio e altri esponenti dell’establishment mediatico della alt right (Drudge, Huckabee, Hannity…) contro il network all news di Time Warner.

Precipitata nel grottesco con la diffusione del video in cui Trump attacca e sopraffà un uomo con il logo di CNN al posto della testa, la guerra tra il cable news channel e la Casa bianca continua.

È di giovedì sera un lancio del «Daily Beast» secondo cui, negli uffici di CNN comincia a serpeggiare una certa ansia dopo l’agguato con video camera che alcuni troll trumpisti hanno fatto, di fronte alla sede del network, all’anchor Chris Cuomo e le telefonate di minaccia e/o insulti giunte a esponenti del team investigativo della rete.

Certo, come ci insegna Wrestlemania (da cui proviene il video di sopra), questa guerra ha una dimensione di teatro, rituale, persino leggermente ipocrita. Dopo tutto, dobbiamo proprio a Jeff Zucker l’idea di chiamare Trump alla conduzione di The Apprentice (il reality senza cui non sarebbe mai diventato presidente) e, scelta ben più corrotta, fatta contro il volere della redazione, di assoldare un suo stretto collaboratore, Corey Lewandoski, per il coverage della campagna 2016.

Anche i troll appostati davanti a CNN l’altro giorno hanno una storia di opportunismo mediatico – lui, James O’Keefe, è autore di efficaci campagne a base di video truffa ai danni di ACORN, Planned Parenthood e Hillary Clinton; lei, Laura Loomer, di«Rebel TV», recentemente portata via di peso dal palco del Giulio Cesare in scena a Central Park, su cui aveva fatto irruzione, è una dei protagonisti del boicottaggio della produzione del Public Theater. Però sono opportunisti che, grazie alla facilità con cui si infiamma la rete, vantano dei successi.

Frenemies, così – contraendo le parole friend, amico, e enemy, nemico – il sito «Fivethirtyeight» ha definito qualche giorno fa il rapporto tra Trump e media.
E, nonostante l’importante lavoro d’inchiesta condotto da testate come il «Washington Post» e il «NYtimes» e dai siti di gornalismo investigativo, un margine di complicità – la famosa sindrome dell’incombente scontro d’auto da cui non puoi distogliere lo sguardo – continua ad esistere tra il presidente e i media (le Tv specialmente) che si fanno regolarmente risucchiare nel suo nonsense (per esempio scandalizzandosi per il wrestling match).

Ma – e ancora di più dopo le photo op con due nemici della libertà d’espressione come Putin e Duda – vale la pena di ricordare che il sogno malcelato di Trump è effettivamente quello di azzerare il ruolo della stampa (la cui credibilità continua a cercare di scalfire a forza di tweet) a meno che non faccia il tifo per lui.
Il presidente ha più volte minacciato di abolire i press briefing quotidiani alla Casa Bianca e, di recente, ha messo il blocco alle riprese Tv .

Via Twitter ha iniziato a prendere di mira Jeff Bezos, il capo di Amazon e proprietario del «Washington Post» . E la sua FCC, approvando il merger tra Time Warner e ATT, potrebbe avere un peso anche sul futuro di Zucker. Il migliore esempio di questo suo ideale è in una video production della stessa Casa bianca che documenta un meeting ufficiale tra Trump e il suo gabinetto in cui i ministri, invitati a presentarsi uno per uno, tessevano le lodi sperticate del presidente. Vedere per credere.
Kim Jong-Un non avrebbe potuto fare di meglio.